«Non ci sono comunicazioni di alterazioni delle radiazioni di fondo dell’Italia». La Federazione nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici attraverso i suoi esperti fa chiarezza su quanto accaduto lo scorso 8 agosto in una base militare russa
«I rischi per l’Italia sono pressoché nulli», è la rassicurazione che arriva dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici, riguardo alle possibili conseguenze per il nostro Paese derivanti dall’incidente nucleare avvenuto in Russia. Lo scorso 8 agosto, infatti, un’esplosione durante un test missilistico presso la base militare russa Severodvinsk, nel nord della Russia, ha fatto registrare un temporaneo aumento del livello di radiazioni. Un picco che ha destato subito allarme, soprattutto tra i Paesi confinanti.
La regione di Arkhangelsk dista oltre 3mila chilometri dalla penisola italiana, ma l’incubo Chernobyl, tornato alla ribalta anche attraverso un acclamata serie tv, ha sollevato preoccupazione in tutta Europa. «È stato un picco estremamente temporaneo e ristretto dal punto di vista dell’identificazione, per cui non c’è una nube radioattiva che si diffonde, questo assolutamente no», ha spiegato a Sanità Informazione il chimico Emiliano Cazzola, ricercatore al Radiopharmacy & Cyclotron Dept, IRCCS “Sacro Cuore – Don Calabria” di Verona. «È stato un episodio puntuale. Non c’è adesso un affluivo che adesso sta continuando, non è questo il caso. È come se fosse scoppiata una bomba, è scoppiata, c’è stata il problema e poi si è assopito. Non c’è nulla che sta continuando a emettere radiazioni».
Nessuna seconda Chernobyl dunque. «Con questi valori possiamo aspettarci una contaminazione che non è per nulla paragonabile a quella avvenuta in altri eventi quali possono essere Chernobyl o Fukushima – è il parere del Dott. Lorenzo Bianchi, Responsabile S.C. di Fisica Sanitaria A.S.S.T. della Valle Olona -. Dal punto di vista della contaminazione ambientale non desta particolari preoccupazioni. Il che fa deporre a favore dell’esplosione avvenuta non tanto per una testata nucleare quanto per un sistema di propulsione, quindi con una quantità di combustibile tutto sommato contenuta. Per dire, – continua Bianchi – dopo quasi 60 anni dagli esperimenti fatti dagli americani nelle isole Marshall dove abbiamo ancora contaminazioni significative, le materie utilizzate erano ampiamente superiori, ma tanti ordini di grandezza superiori».
Tra le notizie riportate dalla stampa, anche quella di medici e operatori sanitari contaminati dai feriti trasportati in ospedale. «Ci sono due problemi che possono insorgere in una persona esposta alle radiazioni, – risponde il chimico Emiliano Cazzola – in primis che vengano esposti alle radiazioni come se facessero una TAC, con le radiazioni che passano da parte a parte. Se le radiazioni sono molto elevate, passando, danneggiano i tessuti. In questo caso la persona che si ammala non può in alcun modo contaminare nessuno, perché non emette a sua volta radiazioni. Sarebbe come pensare che un malato oncologico possa contaminare il medico che lo cura. Il discorso è diverso per chi fisicamente è nell’area dove è successa l’esplosione. In questo caso le radiazioni sono date da particelle. Possono essere delle polveri oppure dei frammenti. Se queste polveri e questi frammenti sono sulla persona, possono essere trasferiti alle persone di soccorso».
«Il trasferimento di quantità rilevanti di contaminazioni non è un’ipotesi plausibile», chiarisce ancora il professor Lorenzo Bianchi che spiega con una semplice metafora la possibile dinamica dei fatti. «Possiamo fare un confronto con una persona che si sporca di fango, viene portata in un certo ambiente e qualcuno la assiste per ripulirsi. È chiaro che chi lo assiste un po’ si sporcherà, però non più di tanto. Il paragone è molto grezzo però è difficile che ad un sanitario che presta assistenza, si possa trasferire una quantità importante di contaminante».
«Una distinzione molto importante è quella tra irradiazione esterna e contaminazione interna – conclude Bianchi-. L’irradiazione esterna si ha quando c’è una sostanza radioattiva però è un qualcosa che non rimane, quando ci si allontana dalla fonte di esposizione tutto finisce. La contaminazione interna avviene quando c’è un’incorporazione di sostanze radioattive. Normalmente avviene con la respirazione, più difficilmente per ingestione, più difficilmente ancora per ferita. Quindi è verosimile che i feriti abbiano avuto una contaminazione per tutte e tre le vie, però il trasferimento agli operatori sanitari è veramente molto ridotto».