Due ricercatori italiani dell’Istituto Europeo di Oncologia, Stefano Santaguida e Marica Ippolito, hanno preso parte allo studio coordinato dal dipartimento di genetica molecolare umana dell’Università di Tel Aviv che ha scoperto l’alterazione della struttura genetica delle cellule tumorali
Si chiama “aneuploidia” ed è un’alterazione della struttura genetica delle cellule tumorali, considerata il punto debole da sfruttare per colpire il tumore. Ad individuare questo “difetto” dei cromosomi è stato uno studio internazionale, pubblicato nei giorni scorsi sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, coordinato dal dipartimento di Genetica Molecolare Umana dell’Università di Tel Aviv a cui hanno preso parte, tra gli altri, due ricercatori italiani: Stefano Santaguida, group leader del Laboratorio di integrità genomica all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e docente di Biologia Molecolare all’Università Statale di Milano, e Marica Ippolito, dottoranda della Scuola europea di Medicina Molecolare presso lo IEO.
«Il nostro lavoro rappresenta una pietra miliare nella ricerca contro il cancro – ha evidenziato Stefano Santaguida, 40 anni, calabrese della provincia di Vibo Valentia formatosi all’università di Pisa, un dottorato di ricerca in medicina molecolare e con un trascorso al MIT di Boston – perché grazie all’analisi delle cellule tumorali abbiamo individuato i geni da usare come bersaglio molecolare per eliminarle selettivamente».
Un lavoro intenso frutto di anni di ricerca che si basa sull’osservazione, nota da decenni, che le cellule tumorali hanno un numero di cromosomi sbilanciato. «Ogni cellula sana del nostro corpo ha 46 cromosomi. Le cellule tumorali, invece, nel 90% dei tumori solidi e nel 70% di quelli ematologici ne hanno un numero differente» sottolinea Santaguida.
Questo importante tallone di Achille non è mai stato sfruttato come bersaglio di cura perché mancavano strumenti necessari per creare modelli in vitro di cellule aneuploidi. «Se fino a poco tempo fa era difficile, e quasi impossibile, modellare in vitro, ovvero in laboratorio, la presenza di una aneuploidia in un sistema cellulare da trattare, oggi abbiamo fatto un importante passo avanti perché siamo riusciti, qui allo IEO, a creare librerie di cellule con un numero di cromosomi sbilanciato».
«Confrontando i dati di migliaia di cellule tumorali – continua Santaguida – si è compreso che l’inibizione di un determinato processo cellulare chiamato SAC, che non è altro che il processo attraverso cui una cellula madre forma due cellule figlie, porta alla morte delle cellule con un numero di cromosomi sbilanciato».
Una scoperta che apre le porte a nuove concrete possibilità di vincere la battaglia contro il cancro, tenendo presente che si tratta ancora di una fase a livello molecolare e che necessita di ulteriori studi per capirne l’applicabilità a livello clinico, come sottolinea il group leader del Laboratorio di integrità genomica allo IEO.
«Si apre oggi la prospettiva concreta dell’utilizzo dei SAC inibitori come terapia anticancro – ammette Santaguida – ma ci vorranno ancora degli anni prima di riuscire a produrre un farmaco in grado di sfruttare questa vulnerabilità per colpire le cellule tumorali. Il prossimo traguardo da raggiungere – chiosa Santaguida – sarà riuscire a capire se l’aneuploidia promuova anche la resistenza alla chemioterapia. In tal caso si potrebbe ipotizzare un doppio utilizzo clinico di questo fondamentale segnale spia dei tumori».
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