Migliaia di infermieri italiani hanno deciso di lavorare all’estero. Tra le mete ambite c’è la Svizzera
Peggiora la già grave emorragia di infermieri in Italia. Negli ultimi anni in migliaia hanno lasciato il nostro paese per raggiungere mete in cui la professione è ben retribuita e in cui ci sono maggiori possibilità di carriera. Tra le mete più ambite, specialmente tra gli infermieri in Lombardia, c’è la Svizzera. Molti lavorano come pendolari, nonostante lo stress. Molti altri scelgono proprio di trasferirsi.
L’allarme è stato lanciato da Nursing Up, che riporta gli ultimi dati forniti dall’Associazione socio sanitaria territoriale lariana (Asst). Secondo le stime, solo nel 2021 sono stati ben 283 i dipendenti che hanno abbandonato volontariamente la professione. Di questi oltre un centinaio, «hanno passato il confine» e hanno scelto in questi mesi di diventare frontalieri, per lavorare in pianta stabile nella sanità elvetica.
«In realtà, questo fenomeno ha radici molto più profonde», spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale di operatori sanitari (Fnopi). «Negli ultimi 10-15 anni ben 20mila infermieri hanno deciso di lavorare all’estero. Una scelta difficile, questa, motivata da una retribuzione migliore – continua – e da una maggiore possibilità di crescita professionale e di carriera». Per molti, quindi, andare all’estero sembra essere l’unico modo per continuare a svolgere dignitosamente la propria professione.
La situazione è certamente peggiorata con la pandemia. Nursing Up riporta un esempio emblematico: negli ultimi due anni oltre 150 persone, tra i dipendenti della sanità pubblica, nelle province di Como e Lecco, si sono licenziate e si sono impiegate nella Confederazione elvetica. Nel settore sociosanitario del Ticino, che occupa in totale quasi 16mila dipendenti, 4300 sono i frontalieri. Di questi il 70% si compone di italiani (per la maggior parte lombardi). «Si tratta di numeri reali, a dir poco allarmanti, che evidenziano, da un lato, come la carenza infermieristica nella Regione Lombardia, da strutturale quale era, è arrivata a toccare l’apice con la pandemia, sfiorando, da sola, oggi, le 10mila unità», scrive Nursing Up in una nota.
«Ma se da un lato – esordisce Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up – non ci sorprende quanto accade in un territorio come la Lombardia, che ha pagato più di tutti, sin dall’inizio, lo scotto dell’emergenza sanitaria, viene naturale chiedersi quali siano, ancora oggi, le differenze così abissali che spingono tanti operatori sanitari a lasciare volontariamente le nostre strutture pubbliche e private, per decidere di mettersi in viaggio ogni giorno verso la vicina Svizzera, che a questo punto, nonostante le sue problematiche, almeno paragonata all’Italia, rappresenta una vera e propria isola felice». Le condizioni lavorative di un infermiere in Svizzera sono davvero molto attrattive.
Come riporta Nursing Up, un infermiere professionista, con pochi anni di esperienza alle spalle, in un ospedale del Ticino, si aggira intorno a poco meno di 5200 franchi svizzeri lordi, ossia poco più di 5060 euro lordi (a questi dobbiamo togliere le tasse che in Svizzera non sono cosa da poco). Niente male rispetto ai 1400/1500 euro netti italiani di stipendio medio. Inoltre, in Svizzera l’infermiere, acquisiti almeno 15 anni di anzianità di servizio, può raggiungere oltre 9000 franchi svizzeri (8760 euro), da cui vanno sempre detratte le tasse. Ma non è la sola Svizzera ad attirare gli infermieri italiani. Germania, Inghilterra e Lussemburgo sono altre mete ambite. «Solo stipendi davvero dignitosi, che oggi sono ancora una triste chimera, in un sistema con una carenza di 80-85 mila operatori sanitari, consentirebbero di arginare la fuga, più che giustificata, in atto da anni», conclude De Palma.
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