«Negli ultimi 40 anni dimezzata la capacità riproduttiva negli uomini, necessario invertire la tendenza». E il crollo della fertilità riguarda anche i Paesi in via di sviluppo
Il famoso romanzo di Margaret Atwood “I racconti dell’ancella”, che ha ispirato una fortunata serie tv, narra di un futuro distopico basato su un inquietante presupposto: il crollo della fertilità femminile e di conseguenza della natalità, causato dall’inquinamento globale. Le poche donne rimaste fertili vengono ridotte a schiave sessuali e incubatrici viventi, mentre, al contempo, si assiste ad un generale ribaltamento dell’assetto sociale e governativo e, per i cittadini, alla perdita dei diritti più basilari. Non sono state poche le voci che ravvisano, in questo scenario immaginato dalla Atwood negli anni Ottanta, il rischio concreto che quanto paventato si realizzi davvero, e in tempi più vicini di quanto ci si immaginerebbe.
In effetti, i temi dell’inquinamento, del riscaldamento globale, e soprattutto del drammatico calo delle nascite, sono reali, e rappresentano leve politicamente e socialmente rilevanti. Ma, dati alla mano, un eventuale futuro distopico legato a questi temi potrebbe differire per un unico, ma molto incisivo, particolare. A vedere crollare a picco la propria capacità riproduttiva, infatti, sono attualmente gli uomini, come denunciato dalla SIA (Società Italiana di Andrologia), per i quali negli ultimi 40 anni si è dimezzata la concentrazione di spermatozoi e, di questo passo, potrebbe addirittura azzerarsi entro il 2070.
Un ulteriore dato allarmante è che il calo degli spermatozoi è documentato anche nelle popolazioni asiatiche, africane e sudamericane, tradizionalmente considerate bacini importanti di incremento demografico. In particolare un lavoro appena pubblicato su Scientific Report dimostra un calo dell’89% dal 2010 al 2019 della motilità spermatica in Sud Africa e in Nigeria e un peggioramento dei parametri dello sperma con l’avanzare dell’età.
Il rischio che la perdita di fertilità maschile diventi un problema irreversibile per l’intera specie umana è reale. «In appena 40 anni – spiega ai nostri microfoni il presidente SIA e Urologo presso la Federico II di Napoli Alessandro Palmieri – gli uomini occidentali hanno visto calare del 52,4% la concentrazione degli spermatozoi. Gli studi realizzati documentano che, dal 1970 al 2018, in Occidente si è passati dai 101 milioni di spermatozoi ogni ml di liquido seminale nel 1970 ai 49 milioni ml nel 2018. Se infatti dal 1973 al 2000 il calo di concentrazione spermatica è stato dell’1,6% ogni anno, dal 2000 al 2018 la riduzione ha segnato più del doppio, pari al 2,64% per anno. Se il trend continuerà – sottolinea Palmieri – entro il 2070 si perderà oltre il 40% della fertilità maschile con serissimi pericoli per la procreazione nei Paesi Occidentali, se non cambieremo l’ambiente che ci circonda, le sostanze chimiche a cui siamo esposti e il nostro stile di vita».
«A questi fattori ambientali se ne sommano altri di natura economico-sociale: l’età media del primo figlio in Europa è in costante aumento e all’Italia spetta il primato del Paese europeo dove il primo figlio si fa più tardi: in media 35 anni per le donne e 40 per gli uomini. In Italia nel 2022 sono nati poco più di 392.000 bambini, e questo è da imputare sicuramente alle difficoltà economiche e sociali che portano a procrastinare la costituzione di una famiglia, ma sul banco degli imputati c’è soprattutto la fertilità maschile, tutt’altro che cresciuta con il benessere».
«L’obesità, la sedentarietà, l’abitudine al fumo e la diffusione delle malattie sessualmente trasmesse, sono tra le principali cause indiziate di aver determinato il calo degli spermatozoi – spiega Palmieri – a cui vanno aggiunti i cambiamenti climatici e l’inquinamento ambientale. In particolare l’obesità triplica la probabilità di bassa concentrazione di spermatozoi rispetto agli uomini con peso nella norma. Negli uomini obesi il rischio di infertilità aumenta di circa il 10% per ogni 9 kg di sovrappeso corporeo. Anche il riscaldamento globale rallenta la spermatogenesi, già con una variazione di soli 0,1 gradi centigradi. Se la temperatura globale si innalzerà di 2,8 gradi entro la fine del secolo, lo stress termico duraturo e progressivo avrà un effetto negativo ulteriore sulla qualità seminale che già subisce significative variazioni nella stagione più calda. È di fondamentale importanza – conclude il presidente SIA – invertire questa tendenza, in primis attuando dei programmi di prevenzione che favoriscano l’adozione di stili di vita corretti».
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