Salute 29 Agosto 2018 16:34

Infezioni ospedaliere, Andreoni (Tor Vergata): «Sono piaga, contribuisce uso smodato antibiotici. A pronunciarsi su terapie sia solo infettivologo»

«In Italia la prevalenza di ceppi batterici resistenti è tra le più alte d’Europa. Occorre controllo dei pazienti al momento dell’ospedalizzazione» così il direttore del Policlinico romano e membro del SIMIT 

Infezioni ospedaliere, Andreoni (Tor Vergata): «Sono piaga, contribuisce uso smodato antibiotici. A pronunciarsi su terapie sia solo infettivologo»

«Le infezioni ospedaliere sono una vera e propria piaga del sistema sanitario». È netta la denuncia di Massimo Andreoni, Direttore di Malattie infettive dell’ospedale romano di Tor Vergata e Direttore Scientifico del SIMIT. «Proprio per fronteggiare questo fenomeno Tor Vergata ha attivato una serie di protocolli», aggiunge il medico che spiega a Sanità Informazione quanto in Italia, come indica anche l’Istituto Superiore di Sanità, la prevalenza di ceppi batterici resistenti è tra le più alte d’Europa.

Le infezioni ospedaliere costano 7mila morti l’anno in Italia e 37mila in Europa, una situazione preoccupante?

«Purtroppo sì, ma occorre anche dire che non esiste un sistema che garantisca l’eliminazione totale delle infezioni ospedaliere. Infatti anche negli ospedali più evoluti si riesce a ridurre di un terzo il fenomeno ma non a risolverlo del tutto, tuttavia è possibile correre ai ripari».

Quali sono le soluzioni da adottare?

«Innanzitutto quello che si può fare è un controllo ambientale negli ospedali per individuare i germi che circolano e cercare di eliminarli per impedire che si diffondano, per ottenere questo risultato bisogna usare gli antibiotici nel miglior modo possibile».

Le infezioni ospedaliere sono uno degli effetti dell’antibiotico-resistenza?

«Sì, l’implicazione è inevitabile. Chiaramente l’utilizzo smodato di antibiotici produce una resistenza a questi ultimi che aggrava la situazione delle infezioni che diventano sempre più difficili da trattare. Si dice che usiamo troppi antibiotici, sicuramente è vero ma non è tanto l’uso eccessivo quanto l’uso scorretto a dover preoccupare».

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Ci spieghi meglio cosa intende per ‘uso scorretto’.

«Dobbiamo imparare ad usare meglio gli antibiotici, la medicina negli ultimi decenni è diventata ancor più complicata di prima; abbiamo a che fare sempre più costantemente con pazienti difficili e fragili, per esempio i pazienti oncologici, i pazienti trapiantati di organi e tessuti, in molti casi questi soggetti raggiungono età sempre più elevate e diventa impegnativo trattarli. Questi pazienti andranno incontro a infezioni? Sicuramente sì, la fragilità porta a sviluppare infezioni. Come contrastare questo? Con gli antibiotici prescritti in modo corretto e cercando di evitare degli antibiotici troppo a largo spettro che distruggono la maggior parte dei microbi a prescindere da quelli che sono la causa dell’infezione. È importante che la terapia sia la più mirata possibile».

Per evitare il rischio di prescrizioni antibiotiche ‘non mirate’ qual è la soluzione?

«Io credo che sia necessario che la terapia antibiotica sia affidata agli specialisti che sappiano utilizzare nel miglior modo possibile gli antibiotici. Senza togliere niente agli altri medici, sono infettivologi ad essere più preparati in questo ambito, sarebbe dunque auspicabile che fossero sempre loro ad occuparsi delle terapie antibiotiche. Così facendo eviteremmo le infezioni da germi resistenti? No, ma probabilmente riusciremmo meglio a tenerle sotto controllo».

A tal proposito Tor Vergata ha attivato dei protocolli proprio per limitare il diffondersi di infezioni. Può parlarcene?

«Tor Vergata ha avviato una strategia di controllo globale delle infezioni, il protocollo prevede che i pazienti al momento dell’ingresso in ospedale (proprio perché spesso questi germi sono fuori dall’ospedale) facciano un esame per rilevare la presenza di infezioni. Nel caso risultino positivi alla presenza di germi, allora vengono sottoposti a una cura antibiotica ad hoc prima di entrare in contatto con altri pazienti ritenuti a rischio».

 

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