Il vicesegretario nazionale della Fimmg denuncia le condizioni strutturali degli ospedali italiani e auspica nuovi modelli organizzativi dell’assistenza per prevenire le infezioni: «Se nei Pronto soccorso ci sono anziani che rimangono lì per giorni, la contaminazione batterica diventa certezza»
Le infezioni ospedaliere che insorgono durante il ricovero o al ritorno a casa, sono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria. Si chiamano ICA (infezioni correlate all’assistenza) e si possono verificare in tutti gli ambiti assistenziali: ospedali, pronto soccorso, day-hospital/day-surgery, lungodegenze, ambulatori, assistenza domiciliare e strutture residenziali territoriali.
Il Vicepresidente dell’OMCeO Roma e vicesegretario nazionale della Fimmg Pier Luigi Bartoletti, ha individuato i punti deboli del sistema a partire dallo stato non proprio ottimale degli ospedali italiani: «Abbiamo strutture antiche, nate per altri bisogni. Bisogna riorganizzare e potenziare l’assistenza sanitaria sul territorio onde evitare, ad esempio, che una persona di 90 anni con una broncopolmonite riacutizzata debba stare in pronto soccorso per due-tre giorni». I pazienti che necessitano un ricovero, infatti, spesso si trovano in gravi condizioni e sono ad elevato rischio di infezioni: «Se questo accade – aggiunge Bartoletti a Sanità Informazione – qualche contaminazione batterica non è un’eventualità, è quasi una certezza».
Un altro fattore importante da considerare è antibioticoresistenza, che può provocare “un impatto economico catastrofico” secondo l’ultimo rapporto del Gruppo di coordinamento dell’Onu (Iacg) sulla resistenza antimicrobica che parla di “10 milioni di morti l’anno, danni economici catastrofici assimilabili alla crisi finanziaria del 2008 e 24 milioni di persone che, entro il 2030, cadranno in condizioni di povertà estrema”.
Rapporto ONU antibioticoresistenza
Il problema è che si danno troppi antibiotici? «Dal punto di vista dell’antibiotico resistenza la consapevolezza è aumentata, anche le persone stanno più attente – continua Pier Luigi Bartoletti -. È un problema di sistema e come tale va affrontato».
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E allora come controllare o, ancora meglio, evitare la trasmissione di infezioni sia in ospedale che nelle altre strutture sanitarie? Con l’adozione di misure preventive che vanno dalla corretta disinfezione degli ambienti e degli strumenti a tutti quei comportamenti che consentano di ridurre il rischio di contaminazione: «Lavarsi le mani sembra un’azione semplice e banale ma in un ospedale significa salvare la vita alle persone» specifica Bartoletti, avvalorando la posizione del ministero della Salute che ha recentemente organizzato il convegno «L’igiene delle mani: strumento per la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza e dell’antimicrobico-resistenza», in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
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«Sarebbe interessante vedere se esiste una correlazione tra vetustà della struttura e infezioni ospedaliere in costanza di adozione di norme di prevenzione – avanza Bartoletti -. Se applico norme di prevenzione in strutture antiche vediamo se sono efficaci quanto nelle strutture moderne. A livello mondiale si sta ragionando di architettura ospedaliera – conclude – proprio perché all’interno di un ospedale moderno è più facile rispettare gli obblighi di pulizia e sicurezza e introdurre camere operatorie differenziate a seconda della chirurgia. In strutture meno moderne è più difficile».