Nel 2020 si è registrato un calo delle diagnosi delle infezioni sessualmente trasmesse, in buona parte dovuto al minor numero di test. Ma la scarsa consapevolezza preoccupa: in Italia sono diminuiti i vaccini contro il papilloma. Squillace (infettivologo): «Indagare sul fenomeno del chemsex, ovvero l’uso di sostanze tossiche per incrementare la durata delle prestazioni sessuali fino a 24 ore consecutive: disinibiscono e alterano la percezione del rischio»
Il numero delle persone con un’infezione sessualmente trasmessa (IST) è in calo. A dare la buona notizia è il Centro Operativo Aids (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che nel suo ultimo report annuale ha evidenziato come, per la prima volta dal 2004, questi dati siano contrassegnati dal segno “meno”. In particolare, tra il 2020 e il 2018 c’è stata una riduzione del 30% dei casi di condilomi ano-genitali, molto probabilmente grazie all’efficacia delle campagne vaccinali anti-HPV, rivolte sia al genere femminile che maschile. Ma è davvero una buona notizia, destinata a perdurare nel tempo, o solo uno dei pochi effetti collaterali positivi della pandemia da Covid-19?
Gli esperti invitano a non abbassare la guardia, soprattutto durante la stagione estiva, periodo dell’anno in cui si registra, solitamente, un’impennata delle infezioni sessualmente trasmesse. «L’estate 2022 che arriva dopo due anni di pandemia e di restrizioni potrebbe essere ulteriormente a rischio – avverte Nicola Squillace, infettivologo presso l’AO San Gerardo di Monza -. L’estate e i viaggi implicano, da sempre, un incremento delle relazioni tra individui e dei rapporti sessuali occasionali, con il rischio di contrarre Infezioni Sessualmente Trasmesse. Si va dall’l’HIV, all’epatiti virali, fino a papilloma virus, infezioni batteriche di clamidia, gonorrea e sifilide».
Il report dell’ISS sottolinea anche che nel 2020, rispetto all’anno precedente, è diminuito il numero di persone che hanno effettuato un test per una IST. La riduzione, che si attesta intorno al 35%, è da attribuire a vari fattori, tra cui la ridotta attività di molti centri IST, la diminuita affluenza delle persone ai servizi di diagnosi e cura, e forse anche ad una minore esposizione a contatti sessuali a rischio. Tuttavia, nonostante un calo, nei numeri assoluti, di infezioni sessualmente trasmesse, tra i maschi che fanno sesso con maschi si è osservato un aumento del numero di diagnosi, in particolare di clamidia, gonorrea e sifilide.
«La clamidia non è facile da diagnosticare: può essere asintomatica e può provocare gravi conseguenze se non trattata nel modo adeguato – dice Squillace -. Nel 30% dei casi di mancato trattamento le donne possono sviluppare una malattia infiammatoria pelvica, che a sua volta può comportare problemi di fertilità o complicanze nella gravidanza. L’infezione si può manifestare con uretrite e cervicite, proctite, faringiti. Inoltre, la trasmissione dell’infezione dalla madre al bambino al momento del parto può comportare l’insorgenza di problemi oculari o polmoniti nel neonato. Per fortuna, esiste un trattamento antibiotico ampiamente disponibile».
L’infezione da gonococco è la seconda malattia sessualmente trasmessa nel mondo dopo la clamidia. In Italia, dai 573 casi del 2013 si è passati agli 850 del 2017, 1.4 ogni 100 mila abitanti. In Europa i casi sono 26.4 casi ogni 100 mila abitanti. «Le conseguenze – dice lo specialista – possono essere gravidanze ectopiche, infertilità, aumento di trasmissibilità di altre IST come l’HIV, uretriti, proctiti, faringiti».
L’infezione batterica sessualmente trasmessa più diffusa in Italia è la sifilide, con 1.631 casi segnalati nel 2017, ossia 2.7 ogni 100 mila abitanti, con un aumento del 35% rispetto al 2015 «Esiste un trattamento antibiotico efficace contro la sifilide – assicura Squillace – che consente di trattarla evitando le possibili conseguenze a lungo termine».
Il papilloma virus (HPV) è l’infezione a trasmissione sessuale più comune al mondo, ma si può prevenire grazie ad un vaccino particolarmente efficace, soprattutto se fatto in età preadolescenziale. Dal 2007 è in corso un programma di vaccinazione a livello mondiale, i cui effetti si notano già nel calo delle neoplasie provocate dall’HPV nelle donne che hanno eseguito la vaccinazione prima dei 26 anni di età. Tuttavia, preoccupa il calo dei vaccini in Italia nel 2020: come rilevato dal Ministero della Salute, la copertura vaccinale media per HPV nelle ragazze è al di sotto della soglia ottimale prevista dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale. «Il vaccino contro il papilloma virus è fortemente raccomandato, soprattutto a 12-13 anni», dice l’infettivologo del San Gerardo di Monza.
«Si tratta di un’infezione particolarmente contagiosa, per cui può bastare anche un rapporto intimo non completo per contrarla – spiega Squillace -. L’importanza della prevenzione si evince dalle possibili conseguenze: il papilloma è un virus oncogeno e, pur contribuendo solo al 5% dei tumori, vi sono associati il 99% dei tumori della cervice uterina, il 90% di quelli del canale anale, il 75% di quelli vaginali e di quelli vulvari, senza dimenticare la forte associazione del 70% dei tumori di testa e collo e il 60% di quelli del pene».
Da non sottovalutare, al pari delle infezioni sessualmente trasmesse, è il fenomeno del chemsex, ovvero l’uso di sostanze tossiche per incrementare la durata delle prestazioni sessuali, fino anche a 24 ore consecutive. In Italia non ci sono ancora molti studi o dati precisi a riguardo, soprattutto per la difficoltà di individuare l’uso delle sostanze proibite. «Ma il chemsex va indagato – commenta Squillace -, anche perché chi lo pratica talvolta neppure ne è consapevole. È un mondo sommerso, più diffuso nelle grosse metropoli che – conclude lo specialista-, disinibendo e alterando la percezione del rischio, espone maggiormente alla probabilità di contrarre infezioni sessualmente trasmissibili».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato