Le Società di Ginecologia e Ostetricia chiedono di modificare la normativa: da 7 a 9 settimane di trattamento e farmaco anche in regime ambulatoriale
Il Dpcm dello scorso 3 marzo ha inserito l’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) tra le pratiche indifferibili in tempi di Covid-19. A significare che alle donne che ne fanno richiesta deve essere garantita la possibilità di portare a termine l’interruzione entro i termini previsti dalla legge 194/78. Tuttavia situazioni sanitarie molto diverse non permettono a tutte le regioni d’Italia di assolvere a questo dovere nello stesso modo. Le Società di Ginecologia e Ostetricia – Aogoi, Sigo e Augui – hanno pertanto richiesto una modifica delle norme vigenti e sollecitato un maggior utilizzo dell’aborto farmacologico, anche fuori dagli ospedali.
La dottoressa Elsa Viora, presidente Aogoi, parla dell’attuale situazione italiana come di una distribuzione «a macchia di leopardo». «Al momento – racconta a Sanità Informazione – ci sono regioni in cui i consultori sono chiusi e gli ospedali hanno ridotto il numero di Ivg. Oltre alla diversità tra i nostri sistemi sanitari regionali, va considerato che l’impatto del virus su ogni regione ha ulteriormente ampliato le differenze».
La normativa vigente sull’aborto prevede numerosi passaggi per la donna che desideri interrompere la gravidanza, a partire dalla certificazione. «Il medico deve prima di tutto accertare la gravidanza – spiega la dottoressa Viora – e discutere con la donna i motivi per i quali ha scelto di interromperla. Questo tipo di attività non deve necessariamente accadere in ospedale. I consultori sono il luogo ideale, oppure gli ambulatori, pubblici o privati».
Per l’interruzione la donna viene poi inviata in ospedale, in quanto la legge fornisce quest’unica soluzione per l’Ivg. Anche la distribuzione dei farmaci utilizzati per l’aborto farmacologico avviene esclusivamente in ospedale, ma con una modifica della normativa potrebbe non essere necessario. «Abbiamo chiesto di poter utilizzare l’Ru486 anche in regime ambulatoriale – spiega Viora – e di ampliare l’arco di tempo di trattamento da 7 a 9 settimane, come avviene in tutti gli altri Paesi. Negli Usa fino a 10. Va ricordato che gli stessi farmaci sono utilizzati anche in altre condizioni cliniche come l’aborto interno».
Questi cambiamenti andrebbero a tutto vantaggio degli ospedali, spiega la presidente di Aogoi: «Basti pensare che per l’Ivg chirurgica è sempre necessario un anestesista, ruolo che in questo momento è molto richiesto per assistere i pazienti malati di Covid-19. Decongestionare ospedali e sale operatorie è un nostro dovere in questo momento».
La riorganizzazione potrebbe, inoltre, affidarsi anche a procedure gestite da remoto con consulenze e monitoraggio in telemedicina, come succede già in Francia e in Inghilterra. «Un’occasione importante – aggiunge la presidente Aogoi – per informare e discutere delle opzioni contraccettive per la donna». Sopratutto considerando i tempi di convivenza con il Coronavirus.
«Nei prossimi mesi non possiamo aspettarci grandissimi miglioramenti, questa pandemia ci terrà occupati a lungo – conclude la dottoressa Viora –. Sappiamo che c’è attenzione alla nostra richiesta e che l’AIFA ha velocizzato l’iter burocratico di alcune procedure proprio in considerazione dell’emergenza.Vogliamo tutelare la salute delle donne e favorire un’organizzazione il più efficace possibile per tutti, sempre nel rispetto della legge. La donna non va lasciata sola».
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO