Con Sanità Informazione un ampio bilancio del mandato del Ministro della Salute più “duraturo” della storia repubblicana: dalle battaglie contro il pensiero anti-scientifico alla sostenibilità del Ssn, dalla Legge sulle professioni sanitarie al mancato rinnovo del contratto dei medici. Le cose fatte, quelle ancora da fare e alcune anticipazioni: «Scuole di Medicina e borse di studio per le specializzazioni, stiamo studiando un metodo nuovo per cambiare completamente approccio…»
LA ‘BATTAGLIA’ PER I VACCINI
Ministro, il suo mandato, il più lungo per un Ministro della Salute nella storia repubblicana, va verso la conclusione. Molte cose sono state fatte, ma iniziamo da una delle scelte di cui si continua e si continuerà a parlare: quella dell’obbligo vaccinale. È stata impegnata in prima persona, ha subito anche attacchi personali. Quanto è stato importante condurre questa battaglia sino in fondo?
«È stata una battaglia importantissima per vari motivi: prima di tutto, per mettere in sicurezza gli italiani, di oggi e di domani. È servito per permetterci di innalzare in brevissimo tempo l’immunità di gregge nel Paese. Siamo intervenuti sull’onda di un’urgenza che non doveva diventare un’emergenza, causata proprio dai bassissimi tassi di vaccinazione che valevano per tutti i tipi di vaccini. E l’emergenza del morbillo dello scorso anno ancora non è finita: 5mila casi, quattro decessi, 40% di ospedalizzazioni: bisognava mettere in campo immediatamente un’azione forte, che facesse capire alle persone il rischio che correvano: loro, i loro figli e la comunità circostante. Ma al di là dell’intervento nel suo clou, c’è tutto un pregresso. Al decreto vaccini ci sono arrivata dopo aver provato per più di tre anni e mezzo a insistere sull’importanza delle vaccinazioni e sul rispetto della verità scientifica. Avevo cominciato a farlo con “Stamina”, che è stato veramente il campanello d’allarme di una sorta di “medioevo di ritorno” nel nostro Paese, per quanto riguarda la verità scientifica. E soltanto quando hanno fallito tutti gli altri elementi, mi sono decisa a fare quest’azione. Un’azione sicuramente molto forte, ma necessaria. I primi risultati ci danno ragione e ci confortano, ma soprattutto le famiglie hanno ricominciato a capire quanto sono importanti le vaccinazioni. La soddisfazione più grande mi è venuta in una cittadina della Toscana, dove la madre di una bambina immunodepressa mi ha detto: «Grazie Ministro, io vivo nel terrore che mia figlia si possa ammalare, non solo a scuola, ma anche quando fa attività sportiva, o che non possa avere una vita normale e andare ad una festa di amici». Perché, in realtà, a cosa servono le vaccinazioni? Per la tutela della salute dei nostri figli, senza dubbio, ma anche a mettere in sicurezza tutti quei bambini e quelle persone che non possono essere vaccinate».
Quello dei vaccini non è un tema solo italiano, va detto. Fu anche uno degli elementi di scontro nella passata campagna elettorale americana. Ma quando i toni si sono esasperati così tanto, ha mai pensato di lasciar perdere?
«Su questi temi, mai. Io ho cominciato con il battesimo del fuoco. È stata una prova per me anche psicologica molto forte: il “caso Stamina”. Io sapevo che era una truffa. I dati scientifici e tutto il mondo scientifico ci dicevano che era una cosa inesistente mentre tutta l’opinione pubblica era a favore. Ma sta lì, a mio avviso, la consapevolezza di cosa significa assumersi un ruolo di questo livello, delle responsabilità che implica. Fare il Ministro della Salute dopo la riforma del Titolo V vuol dire avere meno potere gestionale, perché il Governo non è più responsabile di come le Regioni gestiscono la Sanità. Quel che aumenta è il lavoro sulla cultura che abbiamo della sanità. E io mi sono resa conto, appena arrivata, di dover fare quel che ritenevo giusto. E quello che ritenevo giusto lo diceva il mondo scientifico. E cioè che “Stamina” era un trattamento che è entrato in modo subdolo nella legislazione italiana. Anzi, non era un trattamento, era una finta cura, una finta terapia, un paradosso per un paese G7 che ha “inventato” il metodo scientifico. Quella è stata la prima esperienza, fortissima. Per tutte quelle arrivate successivamente possiamo dire che ero già stata, appunto, “vaccinata”. Non ho mai avuto l’istinto di mollare su questioni che riguardano in maniera così importante la vita delle persone. Anzi, mi sono sentita molto più motivata, più forte. Devo dire, però, che a volte ho sentito molta stanchezza negli impegni della mia vita privata. Ho avuto una gravidanza complessa nel corso di questa legislatura, e anche due bambini piccoli. Alla fine, come tutti, sono riuscita a trovare la forza, anche dalle difficoltà, e sono riuscita ad andare avanti».
‘CAREGIVER’ E SALUTE DELLA DONNA
Questo è anche uno dei temi su cui ha insistito molto: quello di conciliare la maternità con i percorsi professionali e di vita delle donne. Un altro grande tema, legato alla famiglia e alla sanità, è quello dei “caregiver”, ovvero di chi si prende cura dei malati cronici in un Paese come il nostro, che ha una fortissima curva demografica che tende verso l’anzianità.
«Parliamo sempre della salute della donna nel suo aspetto più complessivo. Mi sono occupata molto di questo e l’ho messo al centro delle politiche sanitarie e di prevenzione. L’ho fatto prima e durante il semestre europeo, partendo dalla vaccinazione per il papilloma virus, dall’allattamento al seno, fino ad affrontare il problema della salute della donna in tutte le sue età, per tutto l’arco della sua vita, da bambina fino alla menopausa, all’osteoporosi e alle malattie dell’invecchiamento. Ricordiamoci che le donne vivono più a lungo degli uomini ma, rispetto a loro, peggio nell’ultima fase della vita. Quindi abbiamo messo in campo tutta una serie di azioni nel famoso decalogo della salute della donna, che poi abbiamo realizzato e fatto diventare legge sia nei nostri piani di prevenzione, sia nei Livelli Essenziali di Assistenza, per tutta la parte sugli screening. Abbiamo portato avanti anche azioni concrete, come i bonus bebè e diverse misure politiche a favore della famiglia. Il tutto a favore della donna che lavora. Lo abbiamo fatto perché il lavoro femminile è strettamente connesso con la produttività italiana. Far lavorare le donne vuol dire permettergli di conciliare la maternità con il lavoro, significa essere più produttive, vincere il problema della povertà familiare perché, ormai, se lavora una sola persona in una famiglia è difficile che questa si sostenga adeguatamente. Vede quante cose ci sono intorno alle donne? Poi c’è il tema dell’assistenza, del care, che in questi decenni è stato sostanzialmente a carico delle donne, che lavorano, hanno problemi di conciliazione dei tempi, e subiscono un affaticamento enorme. In futuro lo spostamento demografico renderà tutto ciò impossibile: abbiamo 14 milioni di anziani over 65 e 4 milioni di non autosufficienti. Tra dieci anni il numero sarà esponenzialmente più grande. Tutti noi dobbiamo lavorare fino a 70 anni. Noi dobbiamo pensare che il “caregiver” è una parte dell’economia di questa società. Dobbiamo immaginare un modo diverso di rappresentare l’assistenza alle persone, l’assistenza domiciliare integrata con l’assistenza sanitaria. In questo Ministero ci siamo occupati solo di un aspetto, quello delle persone nelle strutture, del care legato alla cura, alla terapia. La parte della socio-assistenza, ovvero l’altro pezzo del welfare, purtroppo non è di nostra competenza. Sono convinta che dobbiamo far integrare questi due mondi, rimetterli insieme anche da un punto di vista politico-amministrativo, con un’unica visione. Ciò significa che anche il pezzo del welfare legato all’assistenza deve avere le stesse regole sanitarie: costi standard, un piano nazionale esiti, quindi la verifica di quello che viene offerto ai cittadini, i processi seguiti e un fondo vincolato. È necessario inoltre immaginare anche le cure agli anziani e il modo in cui questi vivranno in uno spazio di bene comune diverso da quello che abbiamo in mente oggi, che dipende da come siamo abituati a pensare la nostra società. Esistono già progetti di questo tipo in Italia: sono molto parcellizzate, sono elementi virtuosi. Penso a queste case in cui esistono tanti mini appartamenti per semi-autosufficienti che hanno servizi in comune – e chi cucina per loro – che permettono agli inquilini di vivere una vita dignitosamente comoda e indipendente. Questo tipo di progetto, a differenza di quel che si possa immaginare, costa venti volte in meno rispetto ai modelli organizzativi soliti in cui la persona è sola. Insomma, dobbiamo immaginare strumenti diversi su larga scala per pensare una nuova economia per una nuova società che è demograficamente anziana, in modo da mettere in campo, successivamente, tutte le azioni a sostegno delle donne e delle famiglie per far nascere altri bambini».
FONDO E SOSTENIBILITA’ DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
Lei citava l’elemento costi. Quello della sostenibilità del sistema sanitario nazionale è un elemento destinato a non scomparire mai…
«Quando sono arrivata al Ministero, la sanità italiana era tecnicamente in default. Eravamo in una situazione in cui erano sempre stati effettuati tagli lineari – che hanno ancora ripercussioni oggi – per circa 25 miliardi e più della metà delle Regioni italiane era commissariata o in affiancamento. Il rapporto tra lo Stato e le Regioni era di fatto interrotto, per quanto riguarda il sistema sanitario. Dopo un mese e mezzo hanno provato a togliermi la disponibilità di altri 2 miliardi: il fondo doveva passare da 107 a 105 miliardi per finanziare il mancato aumento del superticket. Riuscii, all’epoca, a far passare un messaggio molto chiaro: mai più tagli lineari, non è possibile governare la sanità con i tagli lineari. Il procedimento è semplice: quando devi fare cassa dici a tutti “meno il 20%”. Dobbiamo invece lavorare nei processi interni, capire dove ci sono sprechi e disorganizzazione e metterli in efficienza. Tutto quel che si recupera va reinvestito nel sistema sanitario. Questo è stato il fulcro del Patto della Salute, oltre alla parte sul “pharma” e alla parte sulla prevenzione. A cinque anni di distanza posso dire che il programma è stato realizzato al 90% e il risultato è stato che due Regioni sono uscite dal piano di rientro e una sta per farlo. Abbiamo fatto un lavoro importantissimo con le centrali uniche d’acquisto. Con i soldi recuperati abbiamo finanziato i Lea. Il primo mese siamo riusciti a creare, sempre con le risorse recuperate, il fondo per l’Epatite C strutturale, con cui abbiamo guarito 110mila persone e ne cureremo altre 160mila nel prossimo anno e mezzo. E poi c’è il fondo per gli oncologici. Ma tutto questo è sufficiente? No. Io ho aumentato di 7 miliardi di euro il Fondo Sanitario Nazionale. Rispetto al fabbisogno dell’invecchiamento della popolazione noi abbiamo bisogno di molti miliardi in più nei prossimi anni per mantenere un sistema che è sostanzialmente universalistico, a meno che non vogliamo cedere al resto d’Europa che ha introdotto un sistema mutualistico misto. Io penso che il nostro sistema universale sia il nostro grande tesoro. Un “brand” made in Italy – oggi si dice “4.0”? Ecco, diciamo “4.0” – che dobbiamo difendere in modo intelligente: E poi dobbiamo fare anche i conti con quel che c’è. Sono una persona realista. Ho gestito con i soldi che avevo e penso che se i prossimi governi non faranno stupidaggini il Pil continuerà ad aumentare. Ciò significa che avremo più risorse, ma è necessario incanalarle lavorando molto sugli anziani – come ci siamo detti – sui giovani e sulle fasce a rischio. Nello stesso tempo dobbiamo però fare i conti con la medicina di innovazione, la medicina personalizzata che aumenta i costi. Si tratta di una sfida globale, una proposta per un modello diverso che sia una terza strada che renda sostenibile la spesa farmaceutica nei prossimi anni. È un processo che riguarda l’Italia ma anche gli altri Paesi, da portare avanti attraverso un maggiore investimento pubblico nella ricerca, migliorie che permettano poi di negoziare il prezzo con più efficacia. Questa è una strada, un modello. Con voi, con Sanità Informazione, posso parlare anche di argomenti più tecnici, ma questa è la strada che dobbiamo percorrere per affrontare le sfide del futuro, così come sto facendo con Health in the Cities: una concezione della salute non solo legata alle persone e agli animali, ma anche ai cambiamenti climatici, all’ambiente e alla salute delle città. Tutti noi vivremo sempre di più in grandi metropoli: dobbiamo fare in modo che il contesto in cui viviamo sia salubre e che non ci faccia ammalare. È stato il tema del mio G7 – dico il “mio”, cioè il G7 a presidenza italiana –, ho dato questo titolo e per fortuna è stato approvato da tutti, anche dagli Stati Uniti. Sulla base di queste premesse stiamo mettendo in campo politiche attive per i prossimi 30 anni. Creare un programma a lungo termine è la cosa più bella per un politico che ha una visione sulla salute e sulla politica economica sanitaria. Certo, non si prendono voti in questo modo, ma si fa qualcosa per gli altri».
CONTRATTO DEI MEDICI E ASSUNZIONI: TUTTE LE RESPONSABILITA’ DEL MANCATO RINNOVO
Veniamo al contratto e alle convenzioni per i medici: si tratta di una di quelle cose che non si è riusciti a portare a compimento nemmeno in questa legislatura…
«È un tema molto importante. Parliamoci chiaro: quando sono arrivata avevamo blocco del turnover, zero assunzioni, il problema delle specializzazioni in alto mare – non si riuscivano a recuperare le borse di studio – e ovviamente il contratto bloccato dei medici e di tutte le professioni sanitarie. E c’era tutto il tema della dirigenza sanitaria per cui abbiamo fatto anche un comparto ad hoc. Negli anni ho detto che senza personale sanitario e senza medici non si può lavorare. La medicina oggi si basa su due cose: sulle professionalità delle persone e sull’innovazione. Quindi è necessario tenerle insieme, aumentare e qualificare la professionalità delle persone e puntare all’innovazione, altrimenti non ce la si può fare. Abbiamo messo in campo innanzitutto un fondo ad hoc per affrontare il problema del turnover che ha portato in questi anni a sbloccare per le Regioni in piano di rientro più di 10mila posti di lavoro. C’è poi da dire che i concorsi non li faccio io: li fanno le Regioni. Quindi se le Regioni ci mettono due anni a farne uno, ci troviamo di fronte ad un grosso problema. Prima facevano le assunzioni a chiamata. Oggi gli abbiamo dato il “metodo” e gli abbiamo detto che esiste un piano di fabbisogni che si basa sulla rete ospedaliera nuova, quindi dobbiamo assumere e programmare con criterio. Abbiamo combattuto, anche se non era una nostra prerogativa, sul campo delle borse di studio e delle specializzazioni. Nei prossimi giorni incontrerò una serie di tecnici che ci stanno proponendo anche un nuovo approccio su questo argomento e sull’accesso alle scuole di medicina. L’altro vero tema, oltre appunto allo sblocco del turnover, è quello del rinnovo contrattuale, quindi dei Medici e dei giovani che devono entrare ed essere stabilizzati. Adesso parliamo dei medici, ma potremmo parlare anche delle professioni in generale che però non possono essere proletarizzate. Uso questo argomento perché noi corriamo il rischio della proletarizzazione dei professionisti in genere: avvocati, notai, commercialisti, farmacisti. Io mi oppongo con forza a questa deriva perché significherebbe distruggere la mobilità sociale, l’ascensore sociale e quella che era stata la grandezza dell’Italia, ovvero che il figlio di un contadino si laureava, faceva un concorso per merito e poteva cambiare la sua vita. Questo è un aspetto importantissimo che cozza con i processi di globalizzazione. Ma venendo al tema contratto, le Regioni avrebbero dovuto accantonare in questi anni risorse economiche adeguate perché sapevano che era loro dovere farlo. Il Ministro per la Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, ha cercato di aiutarmi a trovare le risorse. Io per quest’anno le avevo trovate con la tassa di scopo sul tabacco, che non era nient’altro che un modo per liberare risorse per il settore farmaceutico-oncologico. Parliamo di circa 750 milioni che avrebbero dato le risorse necessarie per chiudere la partita contratto. È giusto che chi fuma e viene curato gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale paghi qualcosa in più rispetto agli altri. Purtroppo non è passata. Ecco, non la ritengo un’idea così assurda. Credo però che questo tema del contratto vada risolto: le Regioni devono assumersi le loro responsabilità e non fare sempre lo scaricabarile sul Governo. Nello stesso tempo credo anche che nei prossimi anni sia ineludibile un aumento del Fondo Sanitario. Anzi, una priorità. Non si può pensare che ora si stanno facendo promesse elettorali che valgono centinaia di miliardi e non si riesce a trovare 2 miliardi per il Ssn. I medici hanno la forza di farsi sentire. Sono stati molto responsabili in questi anni perché hanno lavorato in una situazione di stress incredibile, senza turni di riposo, senza sblocco del turnover, con reparti che hanno chiuso per mancanza di sostituzioni. Insomma, una situazione non facile, e quindi non smetterò mai di ringraziarli come Stato italiano, oltre che come persona. Con loro abbiamo lavorato molto anche sul tema della responsabilità professionale…».
Ecco, anche quella legge è stata una portata a compimento…
«Si tratta di una legge importantissima, di iniziativa parlamentare ma a cui il Governo ha lavorato molto, anche con la commissione Alpa, cercando di fare un’opera di sintesi come il mio Ddl Lorenzin che riguarda proprio la riorganizzazione delle nuove professioni sanitarie, che acquistano una grandissima dignità e vengono riconosciute. Quindi il lavoro è stato fatto e spero che nella prossima legislatura si continui a lavorare per l’implementazione delle tante riforme fatte in questi anni. Penso al piano nazionale delle cronicità, al piano prevenzione, al piano per gli ospedali in deficit, alla legge sui nuovi manager, alla piramide dei ricercatori che è stata approvata, a tutte le norme per il “rientro dei cervelli” che ho fatto nel settore biomedico e una visione complessiva del sistema salute che non è un unico comparto ma è un grande sistema trasversale a tutto il Paese».
LA LEGGE LORENZIN E L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE
Citava la Legge che porta il suo cognome. Una legge che riordina tutto il settore delle professioni sanitarie, modifica la gestione degli ordini professionali e mette l’accento sull’importanza della formazione e della rivalidazione professionale. Lei ha insistito molto sul sistema ECM…
«Senza formazione non si va da nessuna parte. Oggi, in tutti i processi del lavoro, in generale ma in quelli sanitari ancora di più, il cambiamento nella professione continua per le nuove scoperte, per il tasso di innovazione, ed è necessaria una formazione permanente e di alta qualità che deve essere offerta a tutto il nostro personale sanitario. In Italia abbiamo grandissimi medici, grandissimi professionisti, grandissimi tecnici. All’estero sono molto richiesti sia i nostri infermieri che i nostri camici bianchi. Noi però dobbiamo fare in modo di tenerceli a casa, perché li formiamo, ma dobbiamo dare loro la possibilità di esercitare questa grande professionalità nelle nostre strutture. Il mio Ddl sulle professioni dà di fatto maggiore forza agli Ordini e ai Collegi, quindi lavora molto sui principi di formazione e di autotutela, ma anche di tutta la parte sanzionatoria, disciplinare e deontologica di cui abbiamo bisogno oggi. Non può fare tutto lo Stato. Gli organi intermedi e riconosciuti come questo, con valore pubblico, devono svolgere un ruolo di vero controllo e di verifica deontologica. Pensiamo per esempio a tutto il tema dei pediatri che non vaccinano. È un aspetto estremamente importante ed è il motivo per cui bisogna anche riconoscere nuove professioni. È sbagliato pensare che la medicina sia quella di 100 anni fa, quando oggi in una sala operatoria c’è il robot, c’è la statistica, c’è un matematico che fa le valutazioni del rischio. Questo settore poi cambia ad una velocità pazzesca, in un modo anche molto affascinante da seguire, ma oggi la politica deve ascoltare il mondo tecnico e della scienza per cercare di stare dietro ai cambiamenti dei processi, soprattutto quelli regolatori e, se è il caso, anche cercare di anticiparli».
In conclusione, se a fine marzo 2018, ad elezioni concluse, dovesse ritornare al Governo, rifarebbe quest’esperienza o chiederebbe di cambiare Ministero?
«No! Mi scusi, ma questa più che una promessa sembra una minaccia… La lasciamo ai posteri…».