La storia del dottor Molino, già tornato in corsia al Cardarelli di Napoli. L’ospedale contribuisce alla produzione di plasma iperimmune per il protocollo sperimentale Tsunami
Avere dentro di sé il virus significa essere contagioso per gli altri, certo. Ma significa anche avere, nel proprio sangue, una possibile speranza di guarigione da offrire al prossimo. Parliamo degli studi in corso sul plasma iperimmune, e sulla sua efficacia o meno contro il Covid. I trial sono ormai numerosi in Europa e nel mondo, e l’Italia, da questo punto di vista, si è dimostrata molto organizzata riunendo in un unico studio multicentrico e multi-Regione numerosissimi Centri Clinici e Servizi Trasfusionali che hanno aderito al protocollo denominato “Tsunami” sotto l’egida dell’ISS e del Centro Nazionale Sangue.
In Campania, l’ospedale Cardarelli di Napoli ha avviato lo screening per la raccolta di plasma iperimmune tramite il servizio trasfusionale che afferisce all’UOC di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale, diretta dal dottor Michele Vacca. Per le prossime settimane il nosocomio napoletano identificherà i pazienti idonei a donare il plasma e li convocherà chiedendo una disponibilità allo screening e alla eventuale successiva donazione, ove siano presenti anticorpi neutralizzanti in quantità adeguata.
Primo donatore di plasma iperimmune al Cardarelli è il dottor Carlo Molino, direttore dell’UOC di Chirurgia generale I e Chirurgia del pancreas presso lo stesso ospedale. Da poco uscito da una forma fortemente sintomatica (che ha scelto di gestire a casa per non pesare sulla rete ospedaliera), Molino è già tornato in sala operatoria e, come gesto di responsabilità, ha voluto essere il primo a donare il plasma da trasferire all’ospedale Cotugno, HUB campano del protocollo Tsunami. E ai nostri microfoni ha raccontato la sua esperienza con il virus.
«È cominciato tutto con un forte raffreddore e astenia – racconta Molino – sintomi che sono rimasti tali per un paio di giorni, durante i quali mi ero illuso di poter essere tra i fortunati paucisintomatici. Purtroppo invece nei giorni successivi sono subentrati i classici sintomi più severi, quali la dispnea (con saturazione a 86) dovuta a un focolaio di polmonite, dolori muscolari e articolari e, sempre, una profondissima stanchezza. Sono un ex atleta – aggiunge il chirurgo – l’attività fisica intensa è sempre stata una parte importante della mia vita. Quando mi sono accorto che non riuscivo neanche a compiere un passo, ho pensato che avrei dovuto ricoverarmi. Ma poi fortunatamente sono migliorato nel giro di poco».
«Ho scelto di curarmi a casa – spiega Molino – perché sapevo di avere sintomi trattabili adeguatamente a domicilio. Mi sono ovviamente isolato e rinchiuso nella mia stanza così da non avere contatti con i miei familiari. Poi, non appena mi sono negativizzato dopo 12 giorni di malattia, sono tornato al lavoro in ospedale. Non riuscivo più a stare a casa, soprattutto in un momento così delicato sentivo l’importanza di tornare in attività. Ma nonostante io sia guarito – precisa – il virus mi ha lasciato una serie di strascichi: piastrinopenia, ipotensione e persino una pancreatite».
«È un virus strano, imprevedibile, che presenta una ampissima scala di gravità del quadro sintomatico. Il dibattito sull’utilità del plasma Covid è aperto – conclude Molino – e questo studio randomizzato servirà proprio a quei ricercatori che dovranno comprendere se e in che modo il plasma iperimmune potrà essere un’arma efficace contro il Covid».
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