400 ragazzi romani, dopo la proiezione del film “Sconnessi” di Christian Marazziti, hanno partecipato ad un dibattito sul loro rapporto con Internet e social network con la psicologa Paola Esposito. Ecco cosa ne è emerso
«Una volta sono rimasto senza cellulare per tre settimane. È stata durissima. Rifarlo? Beh, se poi mi regalano l’iPhone X sì». È il paradosso della generazione iperconnessa, dei nativi digitali, degli smartphone addicted, che dir si voglia. Disposti a lasciar chiuso il cellulare dentro un cassetto solo in cambio dell’ultimo modello di telefono. È stata questa la reazione di un ragazzo che ha assistito, insieme alla sua classe e ad altri 400 adolescenti, alla proiezione del film “Sconnessi” di Christian Marazziti al cinema The Space Moderno di Roma, a cui è seguito un vivace dibattito sul tema della dipendenza da Internet. Diverse le domande che studenti e professori hanno rivolto alla psicologa intervenuta per rispondere ai loro dubbi e alle loro richieste, la dottoressa Paola Esposito, che ha spiegato i rischi e le problematiche legati ad un uso eccessivo e scorretto di Internet e social network.
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«Non dobbiamo demonizzare Internet – spiega ai nostri microfoni – ma spiegare i pericoli cui si va incontro con un uso eccessivo della rete. Oggi i ragazzi sono collegati per diverse ore al giorno, spesso c’è addirittura un collegamento notturno che scatena, dimostrano molti studi, un problema sul sonno-veglia: oggi il ragazzo non riesce più a prender sonno dopo che ha trascorso tante ore on line; la mattina dopo quindi sarà stanco e avrà problemi a scuola. Stiamo assistendo all’aumento del tasso di abbandono scolastico e delle diagnosi di problemi come ansia e depressione, che non sono di certo scatenati dai social, ma probabilmente amplificati».
«Dottoressa – è la richiesta quasi disperata di una professoressa -, ma noi cosa possiamo fare per limitare l’utilizzo dei telefoni da parte dei nostri ragazzi?». «Tenerlo lontano da sé può aiutare a non pensarci e a non controllare continuamente le notifiche», risponde Paola Esposito, che plaude anche all’iniziativa dello #SconnessiDay, lanciata dal regista Christian Marazziti e da Consulcesi (che ha coprodotto il film) per tornare a comunicare veramente e non guardare, per almeno un’ora al giorno, gli schermi di tablet e smartphone.
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Ed è proprio la comunicazione uno dei temi che la dottoressa Esposito sottolinea maggiormente: «La comunicazione sui social come WhatsApp va benissimo, ma se la persona con cui vogliamo parlare è accanto a noi è meglio riferirsi a lui fisicamente. Potrà sembrare scontato, ma la comunicazione vis-à-vis è più difficile, e quindi non sono pochi i casi di persone, non solo giovani, che utilizzano i social per comunicare anche da una stanza all’altra. Parlare ci aiuta e ci fa crescere, la comunicazione è un fattore determinante per l’essere umano. Comunicare solo tramite un oggetto può far sì che dimentichiamo le nostre facoltà».
Non va tralasciato, infine, il tema del bullismo in rete, anch’esso amplificato da social e Internet, perché «il cyberbullismo segue sempre la persona – spiega la dottoressa Esposito -. Se il bullo è contestualizzato in un momento e in un luogo, il cyberbullo ci segue ovunque. Non puoi cambiare scuola o città, perché una volta che un filmato, un’immagine o qualcosa di offensivo inizia a girare su Internet può arrivare ovunque. Da lì nasce la grandissima difficoltà della vittima a difendersi».
«Quando si mette qualcosa in rete – è l’appello finale che la psicologa rivolge a giovani e meno giovani – si perde completamente il controllo e la proprietà di quella foto o di quel video. Ma poi che esigenza c’è di raccontare a tutti ogni momento della vostra vita? Godetevi il momento, non pensate alle foto da postare su Instagram per far ingelosire i vostri amici. E parlate guardandovi negli occhi, non attraverso uno schermo e una tastiera».