Intervista a Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma: “Formare ed informare in maniera efficace può fare davvero la differenza”
Un’eccellenza tutta italiana, quella dimostrata dall’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma, nella gestione del primo caso di Ebola in Italia, il medico di Emergency Fabrizio Pulvirenti.
Il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico proprio dello “Spallanzani”, ha raccontato ai nostri microfoni cosa ha permesso alla struttura di raggiungere l’apice qualitativo, e quanto altro si può fare per sostenere la battaglia contro Ebola.
Siamo nella struttura dove il virus Ebola è stato affrontato – e vinto – con il caso di Fabrizio Pulvirenti. Qual è la situazione al momento?
Ebola ha destato tanto allarme perché rappresenta un rischio per i Paesi occidentali: si è temuto che un virus così pericoloso, per il quale non esistono cure provate, potesse diffondersi ancora di più. Ad oggi infatti non c’è ancora un trattamento, né un vaccino, di comprovata efficacia.
In questa epidemia un costo alto in termini di vite umane l’hanno pagato i professionisti sanitari, che spesso non sapevano come affrontare l’emergenza.
Dobbiamo considerare che la maggior parte del personale sanitario deceduto apparteneva ai Paesi colpiti. Ciò ha comportato un dimezzamento della capacità di risposta sanitaria in Paesi che avevano già meno di un medico ogni centomila abitanti. Ci sono stati poi pochi casi tra operatori sanitari occidentali che sono stati rimpatriati, e con loro si è dimostrato che la mortalità è di gran lunga minore rispetto a quella emersa in Africa. Tanti pazienti, se fossero stati assistiti tramite reidratazione e trattamento intensivo sarebbero sopravvissuti.
Lo “Spallanzani”, protagonista per la gestione del caso Pulvirenti, ha fatto e fa formazione a livello nazionale, e non solo, per gli operatori sanitari…
Da circa vent’anni ormai attuiamo una preparazione continua di clinica, di laboratorio, di epidemiologia, di sanità pubblica, in Italia e all’estero. Abbiamo una base in Tanzania, laboratori in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Abbiamo competenze cliniche, virologiche ed epidemiologiche che oserei definire le migliori in Europa, riconosciute più all’estero che in Italia. Questo ci è stato utile per gestire il paziente nel migliore dei modi, come hanno fatto i colleghi negli altri centri di eccellenza europea che hanno potuto confrontarsi con una malattia che, se da un lato è drammatica, dall’altro è una sfida che tutti gli infettivologi vorrebbero gestire.
Le nuove tecnologie aiutano la formazione, come nella Formazione a Distanza che, a livello internazionale, è il mezzo ideale per raggiungere chiunque. Il progetto di un film per spiegare come affrontare e gestire il virus Ebola può aiutare molti operatori sanitari.
Formare a distanza è molto importante, ma è altrettanto importante mettere in condizione di gestire il caso. La differenza tra quest’epidemia di Ebola e le precedenti è la disponibilità di laboratori mobili, che hanno permesso di effettuare – per la prima volta nella storia delle febbri emorragiche – diagnosi sul campo. Questo dimostra che si può operare anche in Africa con standard occidentali, se ci si prepara adeguatamente.