L’Associazione Di.Te.: «Necessarie strategie per ritrovare esperienze e rapporti autentici”. L’allarme dagli USA: «Di solitudine si muore: è un’epidemia»
Quattro ore al giorno, 28 ore a settimana, 2 mesi interi all’anno. È questo il tempo che passiamo mediamente connessi ai social, mentre buttiamo un occhio allo smartphone circa 150 volte nell’arco delle 24 ore. L’iperconnessione è uno dei fenomeni più rilevanti della nostra epoca, non solo da un punto di vista sociale ma anche sanitario. Perché se è vero che l’aggregazione e i rapporti umani sono fattori fondamentali nel neurosviluppo dall’età evolutiva, è anche vero che il 50% dei bambini al di sotto dei 4 anni vengono “svezzati” con lo smartphone, e che il 30% dei genitori usa smartphone e tablet per calmare i propri figli, aumentando il rischio di disturbi dell’attenzione e, peggio, di contribuire allo sviluppo di una vera e propria dipendenza già in tenera età.
L’allarme su questi temi viene costantemente sollevato dall’Associazione Nazionale Di. Te. (Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo), organizzatrice del Disconnect Day in programma per la giornata di domani 6 maggio. L’iniziativa, realizzata con il Comune di Fabriano, la Regione Marche e il Consiglio Regionale, ha l’obiettivo di mettere alla prova i partecipanti con la loro resistenza alla disconnessione. Si attraverserà infatti lo spazio urbano di Fabriano, che per l’occasione si animerà di numerose attività, a telefono spento e sigillato dentro apposite buste consegnate negli infopoint sparsi in città. L’obiettivo dichiarato è quello di riprendere il contatto con il territorio e la realtà circostante, e vivere una esperienza che non sia filtrata o distratta dal continuo ricorso al cellulare per postare, condividere o semplicemente controllare mail e chiamate perse. Insomma, un’occasione per ritrovare una socialità autentica e offline.
Anche il mondo cinematografico ha affrontato il tema della disconnessione con la pellicola del 2018 intitolata “Sconnessi” per la regia di Christian Marazziti e un cast che annoverava, tra gli altri, Fabrizio Bentivoglio, Ricky Memphis e Carolina Crescentini. I protagonisti si trovavano, per una serie di motivi, ad essere privati della connessione internet, il che li metterà a nudo, rivelando tutte le loro insicurezze e fragilità, ma soprattutto una profonda solitudine.
Proprio il nesso tra solitudine e iperconnessione si è rivelato in maniera lampante e spesso drammatiche nelle fasi di emergenza pandemica e post pandemia, colpendo soprattutto i giovani ma non solo. Nei giorni scorsi il dottor Vivek Murthy, Chirurgo Generale degli United States e portavoce ufficiale in materia di sanità pubblica per conto del governo federale, ha lanciato l’allarme di una vera e propria epidemia di solitudine e di isolamento in corso, che innescherebbe problematiche a livello psicofisico come insonnia, alterazioni immunitarie, patologie cardiache e alimentari oltre che ovviamente depressione e rischio dipendenze, e che potrebbe aumentare di circa il 30% il rischio di morte prematura. Da qui, la necessità di implementare le strategie per ritrovare la connessione sociale. «I dati ci dicono che nel post pandemia si è confermata una tendenza ad essere più social ma più soli – commenta ai microfoni di Sanità Informazione il dottor Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione Di.Te. – Quando ci si sente tristi la tecnologia funge da antidepressivo – continua – quando ci si sente soli si va sui social quasi per vivere di riflesso le vite altrui. Ma anche gli altri, al tempo stesso, pubblicano le loro vite in momenti di vuoto. Si tratta di incontri di solitudini, di vuoti, senza che però questo generi un incontro reale, una connessione umana e sociale. È solo un’illusione, una falsa cura, perché più ci si abitua alla condivisione online, meno si riesce a condividere esperienze reali, e il mondo fuori – conclude – farà sempre più paura».
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