Giovanni Paolo Sperti, avvocato e segretario dell’associazione Mamanonmama APS ETS, ai microfoni di Sanità informazione ripercorre le principali leggi italiane che sanciscono il diritto alla cura, al mantenimento di una buona qualità di vita ed alla sicurezza dei trattamenti, sottolineando la necessità di sancire un nuovo diritto per il malato oncologico: il diritto all’oblio
Quando una persona che ha vinto la sua battaglia contro il cancro potrà considerarsi guarita? Per la scienza devono trascorre cinque anni durante i quali il paziente non deve manifestare più segni o sintomi di malattia. In alcuni casi, in particolari forme di cancro, come quello del polmone o della prostata, si preferisce aspettarne almeno dieci prima di sciogliere la prognosi. Per la legge, invece, una persona che si è ammalata di cancro nel corso della sua vita non verrà mai definita “guarita”. O, almeno, non Italia.
«Nel nostro Paese – spiega Giovanni Paolo Sperti, avvocato e segretario dell’associazione Mamanonmama APS ETS – non esiste il diritto all’oblio del malato oncologico. Chi ha avuto un tumore, pure se questo si è manifestato durante l’infanzia, nell’età adulta dovrà sempre dichiarare di essere stato affetto da tale patologia oncologica. Dovrà farlo ogni qual volta gli verrà richiesto, che sia per la stipula di un mutuo o di un’assicurazione sanitaria. Queste persone, dunque, seppur perfettamente sane, continueranno per sempre ad essere identificate come ex pazienti, ex malati oncologici e, pertanto, dovranno subire l’ostruzionismo di compagnie assicurative o di banche, dalle quale si vedranno respingere le pratiche richieste, per tutto il resto della vita».
Eppure, l’Italia potrebbe seguire il buon esempio di Paesi nemmeno troppo lontani. «In Francia, questo diritto all’oblio esiste e subentra dopo dieci o vent’anni dalla guarigione accertata dai medici, a seconda del tipo di cancro», aggiunge il legale.
Tuttavia, pur presentando delle evidenti lacune, in Italia, il diritto alla salute è sancito fin dall’approvazione della Costituzione, in particolare agli articoli 2 e 32, e da diverse altre leggi approvate negli anni seguenti. «Esistono molti diritti riconosciuti ma poco conosciuti. Tra quelli più noti ci sono permessi e congedi, anche se spesso fruiti più dai caregiver che dagli stessi malati. C’è, poi, il periodo di comporto, quel lasso di tempo in cui il lavoratore assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto che, in alcuni casi, è anche raddoppiato. Ancora, esistono ferie e riposo solidali, ovvero la possibilità di cedere volontariamente i propri giorni di ferie o riposo non goduti ad un collega malato», dice Sperti.
Molte altre sono le agevolazioni dal punto di vista dell’assistenza e della previdenza: «Si va dalla pensione di inabilità civile (invalidità del100%), fino all’assegno mensile (invalidità tra il 74% e il 99%), l’indennità di accompagnamento (in caso d’impossibilità di deambulazione o di svolgere le attività quotidiane) e l’indennità di frequenza per i minori. Ancora – aggiunge l’avvocato – è possibile richiedere la contribuzione figurativa di due mesi ogni anno lavorativo utile, per un tempo massimo di 60 mesi».
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In tema di fiscalità e spese mediche esistono diverse forme di esenzione per patologia, farmaci e visite, che variano a seconda della percentuale di invalidità. «Per le persone con un’invalidità superiore al 45% esistono liste speciali di collocamento. Più in generale, acquisti con IVA agevolata, deduzione dei contributi di colf e badanti, detrazioni dei figli a carico e di alte spese come parrucche, ristrutturazioni o per successioni e donazioni – commenta il legale -. Per agevolare gli spostamenti è possibile richiedere un contrassegno di libera circolazione e sosta che consente l’accesso nelle zone a traffico limitato e, in molte città italiane, anche la sosta gratuita sulle strisce blu. Ancora, è possibile, in alcune ASL, chiedere un rimborso per le spese di trasporto sostenute per sottoporsi a chemioterapia e radioterapia».
In Italia non è garantito solo il diritto alle cure, ma anche quello alla sicurezza delle stesse. «Nel 2017, con la Legge cosiddetta “Bianco Gelli” il Legislatore ha fissato il principio di sicurezza delle cure, che si concretizza anche con la prevenzione ed il trattamento del rischio in ambito sanitario. Grazie a questa legge, nell’ambito del diritto civile, stiamo assistendo al superamento della medicina difensiva, sia attiva (come sovradosaggi e sovraprescrizioni) che passiva (come omissione del trattamento di cura del soggetto o dell’esecuzione di terapie). Questo perché, la “Bianco Gelli” stabilisce che la struttura sanitaria è tenuta a rispondere in via contrattuale nei confronti del paziente. Tuttavia, di strada da fare ce n’è: da una recente indagine dell’Ordine dei Medici di Roma è emerso che ancora oggi il 50% dei camici bianchi ricorre alla medicina difensiva, tanto che il 10% di quanto prescrive ai propri pazienti – conclude – è frutto proprio di questa strategia di difesa».
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