La dieta chetogenica è nata nel 1920 come piano alimentare per il trattamento dell’epilessia farmaco resistente. Attualmente è utilizzata per diverse malattie, tra cui la sindrome da deficit del trasportatore del glucosio di tipo 1 (Glut1), il deficit di Piruvato Deidrogenasi (PDH), oltre che nelle epilessie farmaco-resistenti. In questi casi, la dieta chetogenica è un trattamento indispensabile, se non addirittura l’unico possibile
Chi si affida a Google per cercare il regime dietetico più adatto alle proprie esigenze, non di rado, cerca “chetogenica” come prima parola. Le ricerche medie annue di questo termine sono passate dalle oltre 210 mila del 2017 a più di un milione nel 2020, superando anche la dieta Dukan, la più cliccata fino al 2018.
Ma la dieta chetogenica non è una moda e chi l’ha ideata non mirava a rendere scultorei i corpi dei vip o delle persone comuni. «La dieta chetogenica è nata nel 1920 come piano alimentare per il trattamento dell’epilessia farmaco resistente. Ed oggi per alcune persone, affette da specifiche malattie, è una vera e propria terapia salvavita», spiega Carlo Dionisi Vici, direttore dell’UOC di Malattie metaboliche dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Roma, responsabile scientifico di KetoMeet 202, un evento organizzato nei giorni scorsi a Napoli per fare il punto sui benefici di questa dieta e su quanto sia effettivamente utilizzata a scopo terapeutico in Italia.
L’aggettivo “chetogenica” deriva dall’effetto che questa dieta ha sull’organismo di chi la segue: «Lo induce a formare i corpi chetonici che, a livello del sistema nervoso centrale, hanno il duplice compito di fornire una fonte energetica alternativa e di attivare la sintesi di neurotrasmettitori indispensabili per il controllo delle crisi epilettiche – dice Dionisi Vici -. La dieta chetogenica è un regime alimentare iperlipidico e ipoglucidico, ovvero ad elevato contenuto di grassi e povero di carboidrati, con un adeguato apporto di proteine».
Ma se la dieta chetogenica per molte persone può essere una scelta, per chi ha la sindrome da deficit del trasportatore di glucosio di tipo 1 (Glut1), rappresenta l’unica opzione di cura possibile. «La Glut1 è una malattia rara, metabolica e genetica, dovuta a un’anomalia del gene SLC2A1, che causa alterazioni nel funzionamento del sistema nervoso, compromettendo il trasporto di glucosio al cervello, che di conseguenza non può svolgere adeguatamente le sue normali funzioni: capacità di apprendere, comunicare e controllare i movimenti del corpo, oltre che a presentare crisi epilettiche fin dai primi anni di vita. Ovviamente la dieta non corregge il difetto metabolico alla base della malattia, ma permette di impedire o attenuare lo sviluppo di certi sintomi gravi».
La dieta chetogenica può essere utile anche alla cura di un sintomo, «come può essere la progressione del danno neurologico o le crisi epilettiche in malattie metaboliche neurodegenerative – dice il direttore dell’UOC di Malattie metaboliche dell’Ospedale Bambino Gesù Roma -. In ogni caso, prima del suo utilizzo è necessario stilare un protocollo di valutazione del paziente. È importante fare uno screening di potenziali condizioni che possano controindicare la dieta chetogenica, per evitare pericolose complicanze».
Per le sue proprietà antinfiammatorie e neurostimolanti, la dieta chetogenica risulta inoltre particolarmente efficace nel contrasto della neuro-infiammazione e della neuro-degenerazione. «Oggi sono numerose le patologie che possono beneficiare di questo regime, dall’epilessia all’emicrania, dalle malattie metaboliche a una serie di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson, dai disturbi del neurosviluppo come l’autismo fino al trattamento adiuvante di tumori cerebrali – in associazione a chemioterapia, radioterapia, e intervento chirurgico quando possibile». Eppure, nonostante i suoi comprovati benefici per queste ed altre patologie, l’utilizzo della dieta chetogenica in Italia non è ancora adeguatamente diffusa.
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