L’esperimento “Suture in Space”, coordinato dall’Università di Firenze, coinvolgerà la Stazione Spaziale Internazionale durante la missione Minerva a cui partecipa Samantha Cristoforetti
Si possono curare le ferite nello spazio? È l’interrogativo a cui cercherà di dare una risposta l’esperimento “Suture in Space” che si propone di analizzare il comportamento delle suture e i processi di riparazione dei tessuti in condizioni di microgravità.
L’esperimento, coordinato dall’Università di Firenze, è frutto di un progetto di ricerca durato sette anni diretto da Monica Monici (del laboratorio congiunto ASAcampus, Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche, Università di Firenze), selezionato dall’Agenzia Spaziale Europea e supportato dall’Agenzia Spaziale Italiana.
«La possibilità di garantire, in ambiente spaziale, cure mediche adeguate e vicine agli standard terrestri è una sfida che richiede studi approfonditi – spiega Monica Monici -. L’esperimento ha tenuto conto di una molteplicità di fattori e variabili: le condizioni estreme, come la microgravità e le radiazioni, la durata delle missioni, il numero di attività ad alto rischio ad esse associate, la risposta dell’organismo umano a lunghi periodi di permanenza nello spazio».
L’esperimento partirà ufficialmente il prossimo 7 giugno dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral, quando dei modelli di tessuti umani saranno inseriti in un contenitore appositamente sviluppato e trasferiti con SpX-25 (Cargo Dragon 2) sulla Stazione Spaziale Internazionale, dove verranno monitorati nell’ambito della missione Minerva a cui partecipa anche l’astronauta italiana dell’Agenzia Spaziale Europea Samantha Cristoforetti. Alla fine dell’esperimento i campioni torneranno a Terra per essere ulteriormente analizzati dai ricercatori.
Nei laboratori del Kennedy Space Center saranno prodotte ferite e suture sui campioni di cute, mentre sulla Stazione Spaziale Internazionale i modelli saranno inseriti in un incubatore alla temperatura di 32 gradi. Metà dei campioni sarà tolta dall’incubatore e congelata a -80 gradi dopo 4 giorni. L’altra metà invece verrà congelata dopo 9 giorni. Questo permetterà di studiare fasi diverse del processo di guarigione della ferita in condizioni di microgravità. I modelli rientreranno alla base a fine luglio e una volta a Terra l’esperimento sarà svolto in condizioni identiche a quello in volo, tranne la microgravità. Dal confronto tra i campioni si capiranno gli effetti della microgravità sul processo di guarigione della ferita.
«Nelle future missioni spaziali interplanetarie, eventuali traumi, ferite, ustioni, emergenze chirurgiche dovranno essere gestiti a bordo di veicoli o basi spaziali, perché – prosegue Monici – i tempi di evacuazione medica verso Terra sarebbero troppo lunghi». “Suture in Space” presenta inoltre risvolti scientifici che investono anche altri aspetti dell’attività di ricerca. Durante la preparazione dell’esperimento è stata sviluppata una tecnica di coltura di tessuti biologici che permette la loro sopravvivenza per alcune settimane e potrebbe avere varie applicazioni in ambito biomedico. «Per esempio –conclude Monica Monici – alcuni test preliminari sulla tossicità dei farmaci potrebbero sfruttare queste colture di tessuto invece dei modelli animali».
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