La storia dello studio in fase sperimentale all’ospedale di Parigi. La responsabile del Centro nazionale dipendenze: «Siamo preoccupati. La diffusione scorretta e incontrollata di queste notizie ha aperto delle aspettative per un segmento di popolazione fragile come quella fumatrice»
Tutto è cominciato all’ospedale di Parigi la Pitié – Salpêtriere, che i sovrani fecero costruire al posto dell’arsenale per la produzione di polvere pirica: «Il dottor Makoto Miyara, uno dei miei allievi, ha attirato la mia attenzione alla metà di marzo sul tasso molto basso di fumatori registrato fra i pazienti cinesi ospedalizzati. In effetti, ero molto scettico. Gli studi non citavano per nulla questo punto e i bias potenziali erano enormi», ha detto il dottor Zahir Amoura, il medico francese che fin dall’inizio di aprile lavora sull’ipotesi di ricerca: la nicotina potrebbe essere un recettore in grado di fermare l’azione del Coronavirus.
I numeri, dopo le prime osservazioni, sembrano in effetti tornare. Viene allora messo in piedi un team di ricerca guidato dall’ospedale parigino e dal dipartimento epidemiologico dell’Accademia delle Scienze. La notizia si diffonde sui media francesi che da qualche settimana offrono cronache estese e ampie sulla questione; così ancora il dottor Amoura, riportato da Le Nouvel Observateur: «Al Pitié-Salpêtriere, dove è stata effettuata un’analisi su oltre 350 malati ricoverati e 139 pazienti più leggeri, si sono trovati solamente il 5% di fumatori, un dato molto basso. Il dato è significativo, si divide il rischio per 5 nei pazienti ambulatoriali e per quattro nei pazienti ricoverati. Si osserva raramente in medicina qualcosa del genere»; e su France Info: «In generale, abbiamo l’80% in meno di fumatori fra i pazienti Covid che nella popolazione generale dello stesso sesso e della stessa età. Il nostro studio trasversale suggerisce fortemente che i fumatori quotidiani abbiano una probabilità molto più lieve di sviluppare una infezione, sintomatica o grave, al Sars-Cov-2 rispetto al complesso della popolazione». Jean-Pierre Changeux, dell’Academie, suggerisce che «la nicotina potrebbe impedire al virus di fissarsi e di penetrare nelle cellule, limitando la propagazione. Altra ipotesi: la nicotina abbasserebbe la risposta immunitaria eccessiva che caratterizza i casi più severi». Una squadra di ricercatori pubblica un primo studio in preprint sul portale Qeios.
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L’ipotesi acquista spazio nel dibattito pubblico, accompagnata da immediati inviti alla prudenza. Il governo francese ha riferito mercoledì sulla vicenda all’Assemblea Nazionale, per bocca del ministro della Sanità Oliver Veran, riportato ieri da BFMTV.
Veran ha definito la vicenda «una pista di ricerca interessante, una fra le molte ipotesi di ricerca clinica», ma ha fatto immediatamente sue le parole di Jerome Salomon, il direttore generale della Sanità francese: «Bisogna essere estremamente prudenti, non dobbiamo dimenticare gli effetti nefasti della nicotina. Noi siamo sicuri che i fumatori presentano dei casi molto gravi di Coronavirus. Il tabacco è il killer numero uno in Francia con oltre 75mila morti all’anno». Damien Mascret, medico e giornalista di Le Figaro, conferma: «È un’ipotesi allo studio, d’altro canto altri studi ci dicono che i fumatori vedono un impatto critico della malattia da Coronavirus». Insomma: si sta cercando di capire se i fumatori si ammalino di meno, di certo ci sarebbe che chi si ammala viene duramente colpito.
«Mi sembra una questione nata male, impostata peggio e gestita malissimo», dice a Sanità Informazione Roberta Pacifici, responsabile del Centro nazionale dipendenze dell’Istituto Superiore di Sanità, raggiunta al telefono: «La nicotina è un componente del fumo di sigaretta e noi sappiamo che è il responsabile principale della dipendenza, è quello che ci crea le maggiori difficoltà nei percorsi di cessazione. Altro è dire che, come è noto, non solo è presente all’interno delle sigarette ma è anche un prodotto venduto in farmacia come componente farmacologico autonomo e ben utilizzato nei percorsi di cessazione. Se ci possono essere delle azioni farmacologiche interessanti di questo specifico componente, che vanno testate, bisogna dire esattamente questo invece che collegare l’effetto positivo all’attività del fumare, dei fumatori: non bisogna dimenticare che nelle sigarette – continua la dottoressa Pacifici – ci sono oltre alla nicotina 40mila sostanze, molte di esse cancerogene, che in Italia come in Francia abbiamo 75mila morti l’anno per cause fumo correlate, e che il fumo è la prima causa di morte prevenibile al mondo».
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«Noi siamo seriamente preoccupati – continua Pacifici – che un’informazione mal veicolata possa annullare l’azione che abbiamo fatto in questi giorni per segnalare ai fumatori che il contenimento sociale fosse un’ottima occasione per smettere di fumare. La diffusione scorretta e incontrollata di queste notizie ha evidentemente aperto delle aspettative per un segmento di popolazione fragile come quella fumatrice. La nicotina, bisogna ricordarlo, in ogni caso non è priva di effetti collaterali. Non è certo acqua fresca».
Le preoccupazioni della dottoressa Pacifici appaiono ampiamente condivise dal governo francese che questa mattina – riporta Le Figaro – ha fermato la vendita in farmacia e su Internet “di tutti i farmaci contenenti nicotina e utilizzati per il trattamento della dipendenza da tabacco”: le dosi acquistabili saranno limitate a quelle “necessarie per una terapia di una durata mensile”. Due gli obiettivi di questa misura d’urgenza: «Da un lato, prevenire i rischi sanitari collegati ad un consumo eccessivo o di un fraintendimento collegato alla mediatizzazione di una eventuale azione protettiva della nicotina contro il Covid-19; dall’altro garantire il rifornimento continuo e adeguato delle persone che necessitano di una terapia medicale nel quadro di una dipendenza tabagista».
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