Disponibile in e-book il primo studio italiano che indaga le cause dello stress nei settori della ristorazione. L’iniziativa, promossa dall’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto insieme all’Ordine degli Psicologi del Lazio, è stata premiata dal programma internazionale 50 Best For Recovery, nell’ambito di The World’s 50 Best Restaurants
Confusione, incertezza, disagio: sono le parole che emergono in modo più frequente nella “Psicologia al servizio della ristorazione”, l’inedito progetto di ricerca messo a punto da Ambasciatori del Gusto e Ordine degli Psicologi del Lazio per accendere un faro sul tema dello stress da lavoro nelle cucine e nelle sale dei ristoranti italiani.
Pensato prima dell’arrivo della pandemia e realizzato nel pieno della crisi sanitaria, economica e sociale da essa scatenata, lo studio ha disegnato attraverso focus group, webinar, sondaggi e colloqui individuali un quadro delle conseguenze emotive e fisiche implicate dalle mansioni del settore della ristorazione, proponendosi al tempo stesso di offrire risorse e strumenti per affrontare queste problematiche.
Che la categoria fosse caratterizzata da un’alta incidenza di burn out era già noto. «La fatica fisica, la concentrazione, l’accentramento di tante responsabilità, l’allargamento della platea, le review dei giornalisti e clienti, sfibrano profondamente. Un giorno ci si alza e ci si rende conto di essere ‘burned’», spiega Cristina Bowerman, Presidente dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, nonché chef e patron del ristorante Glass Hostaria di Roma.
Già nel periodo pre-Covid, dunque, erano state registrate criticità connesse al turn over del personale (80,18%), all’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (55,85%), agli orari di lavoro (54,95%) e ai carichi connessi (54,05%). Tra i sintomi fisici correlati allo stress venivano segnalati maggiormente quelli del sonno (54,45%), mentre in ambito psichico si riscontrava l’ansia (40,54%), la tristezza (38,73%) e l’isolamento sociale (34,90%).
Nessuno però si sarebbe aspettato un aggravarsi della situazione così repentino e drammatico come lo tsunami generato dal Covid, con le sue ricadute connesse all’incertezza del futuro e alle chiusure forzate. L’incidenza dei disagi psico-fisici, complice l’emergenza, ha conosciuto un forte incremento, emerso in maniera più evidente all’aumentare degli anni di esperienza lavorativa: i soggetti con più di 20 anni di attività sono stati i primi a segnalare, infatti, la maggiore presenza di sintomi fisici e la percezione di sintomi psichici.
Alla domanda su come abbiano affrontato la situazione lavorativa conseguente alla pandemia, i partecipanti allo studio hanno affermato di avere pensato ad alternative possibili per mantenere l’attività (80%), di essersi confrontati con i colleghi (78%), di avere approfittato delle chiusure per svolgere attività di aggiornamento professionale (72,08%), di essersi dedicati ad attività ricreative (63,07%) o di avere cercato notizie /informazioni (59,46%).
Come spiega David Pelusi, Dottore in tecniche psicologiche e tesoriere dell’Ordine Psicologi del Lazio «la ricerca è stata in grado di documentare un quadro di criticità preesistenti alla pandemia che l’emergenza Covid ha ridefinito in modo del tutto nuovo e, talvolta, inaspettato. Le testimonianze dei professionisti hanno premiato il lavoro svolto, evidenziando il contributo fondamentale della Psicologia sia a livello individuale che organizzativo».
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