Alla presentazione della piattaforma dell’Enpam Tech2Doc i rappresentanti dei camici bianchi si sono confrontati sulla relazione tra macchine e camici. Ma in ogni caso, saranno fondamentali la formazione e l’aggiornamento continuo del personale sanitario
La tecnologia può prendere decisioni, ma la scelta deve rimanere in capo al medico. È stato questo il mantra ripetuto più volte dai relatori intervenuti alla presentazione della nuova piattaforma Tech2Doc della Fondazione Enpam, l’ente previdenziale di medici e odontoiatri. I rappresentanti di tutti i principali settori della sanità si sono infatti confrontati sul rapporto che dovrà sempre più rafforzarsi tra medicina e tecnologia, un connubio destinato a cambiare la professione senza stravolgerla, salvaguardando quel fondamentale concetto di “umanizzazione delle cure” che dovrà continuare a caratterizzare la medicina e distinguendo la sapienza del professionista dalla conoscenza della macchina.
Ad aprire i lavori un video messaggio del ministro della Salute Roberto Speranza, che ha evidenziato l’importanza della telemedicina e della sanità digitale nel disegno del Servizio sanitario nazionale del futuro, così come progettato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza che destina al settore 7 miliardi.
Strutture e risorse che tuttavia rischiano di rimanere cattedrali nel deserto se non accompagnate da un costante e preciso processo di informazione e formazione del personale sanitario che dovrà utilizzarle. Da qui l’idea della piattaforma Tech2Doc, che ha proprio l’obiettivo di formare e informare gli iscritti all’Enpam sui principali temi dell’innovazione e delle nuove tecnologie a supporto della pratica medica.
Chiarissimo, in tal senso, l’intervento del professor Guido Rasi, già direttore esecutivo dell’Agenzia europea del farmaco e attualmente direttore scientifico della piattaforma formativa Sanità in-Formazione del Gruppo Consulcesi, che ha spiegato come il Covid abbia agito da “acceleratore digitale” nell’ambito della formazione professionale sanitaria: «Sanità in-Formazione ha consentito di fare una formazione puntuale con tutta la potenza della tecnologia. Mi riferisco ad esempio alla comunicazione digitale: spiegare ai colleghi con un video o con una serie di informazioni interattive come agiva il virus e perché alcuni farmaci funzionavano o no è senz’altro più penetrante rispetto a ricevere lunghi e noiosi documenti. Sarebbe stato utilissimo allora avere un sistema di conoscenze già completamente implementato per affrontare la gestione del virus Sars-Cov-2, superando così in maniera più coerente ed efficace i momenti di difficoltà e incertezza».
Ma quale dovrà essere, allora, il rapporto che si instaurerà tra medici e tecnologia? Non hanno dubbi i rappresentanti della professione intervenuti. Per Filippo Anelli, Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici, se anche l’intelligenza artificiale saprà fare diagnosi e terapia, raccogliere il consenso informato, spiegare ai pazienti lo stato di salute o cosa prevede il trattamento di una patologia, la professione del medico sarà sempre caratterizzata dal fattore umano, da quella capacità di interagire con il paziente interpretando le sue ansie, le sue paure e le sue speranze che mai potrà essere sostituita da una macchina.
Silvestro Scotti, Segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale, ha parlato di «volano didattico», quello tecnologico, «che consentirà di migliorare l’assistenza e quindi tutta la filiera». Fondamentale, secondo Scotti, partire dalle esigenze dei professionisti per strutturare progetti e obiettivi, «e non calare modelli dall’alto per gestire la base», l’appunto critico di Scotti. Senza dimenticare di affiancare sempre alla tecnologia l’umanizzazione delle cure ed il riconoscimento professionale del medico: «Se un musicista insegna ad una macchina a suonare, il musicista ottiene comunque i diritti Siae; se un chirurgo insegna ad un robot ad operare non dovrebbe perdere il riconoscimento del suo ruolo», la metafora usata dal Segretario Fimmg.
In rappresentanza dei medici ospedalieri è invece intervenuto il presidente del sindacato CIMO Guido Quici: «Gli ospedali sono già tecnologicamente avanzati sotto alcuni punti vista. La tecnologia che abbiamo a disposizione è tantissima, ma bisogna allocarla nel modo più appropriato, altrimenti non funziona – sottolinea Quici -. Se in un ospedale ho un robot che occupa una sala chirurgica per un giorno intero eseguendo un solo intervento, è ovvio che costerà molto di più e avrà un impatto molto più importante sulle liste d’attesa. Ma bisogna comunque ricordare – ha aggiunto Quici – che queste tecnologie sono veramente la ciliegina sulla torta, perché in molte strutture mancano ancora il fascicolo sanitario elettronico o il data warehouse, quindi bisognerebbe intanto partire dagli aspetti più concreti, e poi concentrarsi sul resto».
Simile il discorso di Antonio Magi, segretario di Sumai-Assoprof, in rappresentanza degli specialisti ambulatoriali: «La tecnologia serve, ma non dobbiamo dimenticare che medicina significa rapporto personale ed empatia. È senz’altro uno strumento utile, ma non sostitutivo, che dovrebbe adeguarsi al medico. Invece troppo spesso accade il contrario: io sono radiologo, e spesso sono costretto ad adeguarmi alla macchina perché il software non prevede quello che mi serve. E poi – ha aggiunto – per stare al passo con l’innovazione, che come sappiamo corre velocissimo, si dovrà eliminare buona parte della burocrazia legata ad acquisti e gare d’appalto altrimenti, considerate le attese necessarie oggi per comprare un macchinario, ci troveremo sempre con tecnologie obsolete».
In chiusura, non poteva mancare l’intervento del padrone di casa Alberto Oliveti, presidente dell’Enpam: «La tecnologia deve essere un amplificatore delle capacità del medico, consentendogli di portare cure in modo corretto e aggiornato ai tempi. Ricordando – conclude Oliveti – che alla decisione segue la scelta. E se la prima può essere elaborata da un algoritmo, la seconda deve continuare ad essere prerogativa del medico e della sua regola morale».
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