E’ quanto emerge dalle analisi pubblicate sulla rivista ‘The Lancet’ e annunciate al meeting annuale della Critical Care Review a Belfast. Lo studio, condotto da ricercatori dell’Università di Pittsburgh e dell’Università di Washington, parla di 48,9 milioni di casi di sepsi nel mondo nel 2017 con 11 milioni di decessi
Una morte su cinque, nel mondo, è associata alla sepsi. Il doppio di quanto ritenuto fino ad ora. E’ quanto emerge dalle analisi pubblicate sulla rivista ‘The Lancet‘ e annunciate al meeting annuale della Critical Care Review a Belfast. Tra le vittime, c’è un numero sproporzionatamente elevato di bambini che vivono nelle aree più povere del pianeta.
Lo studio, condotto da ricercatori dell’Università di Pittsburgh e dell’Università di Washington, parla di 48,9 milioni di casi di sepsi nel mondo nel 2017 con 11 milioni di decessi, ovvero 1 morte su 5 a livello globale. La sepsi si verifica quando gli organi di una persona cessano di funzionare bene, in seguito ad una risposta immunitaria ‘fuori controllo’ ad un’infezione. Anche se la sepsi non uccide sempre, può causare in chi sopravvive gravi disabilità. Secondo l’indagine la maggioranza dei casi di sepsi – 85% nel 2017 – si è verificata in Paesi a basso o medio reddito. In particolare nell’Africa sub-sahariana, nelle isole del Pacifico meridionale vicino all’Australia e nel Sud-Est asiatico. E i più colpiti sono i bambini: oltre il 40% di tutti i casi si verifica in piccoli sotto i 5 anni.
«Ho lavorato nelle zone rurali dell’Uganda e la sepsi è ciò che abbiamo visto ogni singolo giorno. Guardare un bambino morire di una malattia che avrebbe potuto essere prevenuta con misure sanitarie di base è davvero un colpo», commenta Kristina E. Rudd, autrice della ricerca. «Voglio contribuire a contrastare questa tragedia, per questo partecipo alla ricerca sulla sepsi. Ma come possiamo sapere se stiamo facendo progressi se non conosciamo nemmeno le dimensioni del problema? Se guardiamo gli elenchi delle prime 10 cause di morte a livello globale, la sepsi non è elencata perché non è stata conteggiata».
Per la loro analisi, Rudd e colleghi hanno sfruttato il Global Burden of Disease Study, un’analisi epidemiologica completa coordinata dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (Ihme) presso l’University of Washington School of Medicine.
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