L’opinione di Alberto Ferrando del Comitato Scientifico della Società Italiana di Medicina Diagnostica e Terapeutica
L’autorizzazione, da parte di EMA in Europa e AIFA in Italia, all’utilizzo del vaccino a mRNA contro il Covid-19 nella campagna di vaccinazione dei bambini tra i 5 e gli 11 anni, ha messo sia gli operatori sanitari che le famiglie nella condizione di dover fare delle scelte. Da quando è stata ipotizzata la possibilità di procedere ad una vaccinazione dei bambini, infatti, i pediatri stanno ricevendo dalle famiglie molte domande sull’opportunità o meno di aderire alla campagna vaccinale: «Da una parte – spiega Alberto Ferrando del Comitato Scientifico Simedet (Società Italiana di Medicina Diagnostica e Terapeutica) -, genitori che manifestano la propria contrarietà sui social e nelle piazze, con slogan del tipo “i bambini non si toccano” e “giù le mani dai bambini”, dall’altra genitori convinti della necessità della vaccinazione che non si pongono alcun dubbio sul fare o meno il vaccino ai propri figli. Posizioni analoghe e contrapposte si possono trovare anche, purtroppo, tra i sanitari. In mezzo, poi, vi sono la maggior parte dei genitori che hanno delle perplessità e le manifestano al proprio pediatra, al quale richiedono informazioni, suggerimenti e dati veritieri che possono accrescere la loro conoscenza per una decisione consapevole».
«A questo punto – spiega Ferrando –, è doveroso per noi pediatri focalizzare il nostro compito sull’importanza di una corretta informazione e comunicazione alle famiglie (compresi i bambini oltre che ai genitori e ai nonni). Ovviamente dobbiamo valutare, prima di tutto, i dati scientifici della letteratura e l’evoluzione della pandemia che nel tempo si è rivelata interessare sempre di più la fascia pediatrica seppur con minor ricorso, ad ora, ad ospedalizzazioni o ricoveri in terapia intensiva o decessi».
Tenuto conto della delicata situazione e delle varie posizioni assunte appare, per Ferrando, «senza dubbio fondamentale, da parte degli operatori sanitari, attivare l’ascolto prima di partire con numeri o dati o con atteggiamenti “giudicanti” o “paternalistici”. Senza dubbio il pediatra di famiglia in questo compito è facilitato grazie al buon rapporto di fiducia che nell’arco degli anni è riuscito ad instaurare con la maggior parte delle famiglie perché entrambi hanno un obiettivo comune: il bene dei bambini e decidere insieme se fare, o non fare, (in questo caso vaccinare o non vaccinare) qualcosa per la loro salute». Ferrando aggiunge poi che «come pediatra mi sento come un “padre” dei bambini che seguo e cerco, come i colleghi, di prendere decisioni, oltre che in scienza e coscienza, ponendomi sempre la domanda: quanto consiglio di fare lo farei ai miei figli o ai miei cari?».
Siccome situazioni di questo tipo sono all’ordine del giorno, per Ferrando non si deve «fare finta di nulla», ed anzi è «importante l’ascolto attento e attivo, prendendo in considerazione i dubbi e le paure evitando di negare o trattare con sufficienza chi le pone, cercando di stimolare il dialogo, basandosi sulla relazione e sul rapporto di fiducia, attraverso una comunicazione empatica che possa dissipare i dubbi aiutando i genitori ad assumere una scelta informata».
Secondo gli ultimi dati disponibili, nelle ultime 4 settimane 1 caso su 4 di Covid-19 si è verificato in età pediatrica (fascia di età che va da 0 a 18 anni). La popolazione 0-12 anni sta registrando un aumento dell’incidenza più elevato rispetto a tutte le altre classi di età. Risultano in aumento anche i ricoveri in ospedale e in terapia intensiva. A tali dati vanno aggiunti i 239 casi di MIS-C (Multi-Organ Inflammatory Syndrome in Children o sindrome infiammatoria multi-sistemica del bambino) che ha interessato anche bambini senza pregresse patologie, ed i casi di long Covid che finora sono stati poco considerati. «Fortunatamente – spiega Ferrando –, nella maggior parte dei casi, la Covid-19 colpisce i bambini in modo più lieve rispetto alla popolazione adulta ma in sintesi i dati che abbiamo a disposizione indicano, con chiarezza, un aumento dei casi in età pediatrica e che l’infezione da coronavirus non è priva di rischi, seppur meno frequenti che in altre età, anche per l’età pediatrica». Bisogna però tenere conto «dei danni indiretti che ha causato questo virus a tutti ma, soprattutto, alla popolazione pediatrica come l’incremento esponenziale dei disturbi psicologici, psichiatrici e del comportamento alimentare tanto che si è creato il termine covobesity. Frequenti i disturbi del sonno».
«L’evolversi della situazione epidemiologica, e il comprensibile disorientamento delle famiglie, richiede da parte della comunità pediatrica una indicazione coerente sulla base delle informazioni a tutt’oggi disponibili. Nel complesso – spiega Ferrando –, ci sentiamo di raccomandare la vaccinazione nei bambini tra 5 e 11 anni, in quanto capace di prevenire casi severi, sia pur rari, dovuti direttamente al virus o alle sue complicanze infiammatorie, di ridurre disagi per gli stessi bambini e le loro famiglie e di aumentare in generale i loro gradi di libertà». La raccomandazione è ancora più forte se «il bambino soffre di patologie croniche, e se convive o ha contatti stretti con adulti anziani o fragili. Le controindicazioni sono rarissime e riguardano soggetti con malattie immuno-mediate. In questi casi è opportuno rivolgersi agli specialisti che seguono il bambino. Affermiamo questo nella consapevolezza che i dati disponibili, pur essendo più che sufficienti per definire l’opportunità di procedere quanto prima alla vaccinazione nei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni, non consentono su alcuni aspetti, quali ad esempio gli effetti a lungo termine della malattia o eventuali complicanze estremamente rare della vaccinazione, di dare risposte definitive. La raccomandazione alle famiglie non va posta in termini imperativi, ma costituisce un’opportunità di dialogo del pediatra, in particolare del pediatra di famiglia, con i genitori», conclude Ferrando.
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