Intervista alla psicoterapeuta Francesca Andronico
Gastrite, affanno e manifestazioni cutanee. Se qualcuno dei vostri invitati dovesse lamentare uno di questi sintomi durante la cena della vigilia o il pranzo di Natale, e per questo mettersi in disparte, allora potrebbe soffrire di alessitimia. Ma non fateglielo notare, sarebbe del tutto inutile: chi è affetto da questo disturbo ne è totalmente inconsapevole.
«L’alessitimico è incapace non solo di esternare, ma anche di riconoscere le proprie emozioni – spiega Francesca Andronico, psicologa, psicoterapeuta, scrittrice e coordinatrice del network territoriale dell’Ordine degli Psicologi del Lazio -. Il disturbo coinvolge tutte le emozioni, anche quelle più basilari come la paura, la tristezza, la rabbia, il disgusto».
Attenzione a non confondere le emozioni con i sentimenti: «Le persone che hanno difficoltà ad esprimere i propri sentimenti non sono considerabili alessitimiche. Nella maggior parte dei casi si tratta di soggetti dai tratti caratteriali timidi, di individui non espansivi e introversi. Tuttavia, anche la difficoltà ad esternare e riconoscere le emozioni può ugualmente scaturire da aspetti comportamentali o culturali e, quindi, non essere necessariamente una condizione patologica».
E allora come distinguere chi non comunica le proprie emozioni “per carattere” da chi non lo fa perché affetto da un deficit emotivo? «Chi soffre di alessitimia, nella maggior parte dei casi – sottolinea la psicoterapeuta – esprime il suo disagio emotivo attraverso il corpo, con reazioni cosiddette psicosomatiche. Questi pazienti sono spesso affetti da patologie gastrointestinali (lo stomaco è definito, non a caso, il secondo cervello), da disturbi pseudo neurologici, come tremori e parestesie (ovvero un’alterata percezione della sensibilità ai diversi stimoli sensitivi), fino a malattie di natura dermatologica. La pelle è il palcoscenico delle nostre emozioni – aggiunge Andronico -, spesso, anche un semplice rossore in volto può mostrare come le pressioni emotive possano “sfogare” attraverso il canale epiteliale».
Il soggetto alessitimico non può essere associato ad uno specifico identikit. Tuttavia, è possibile isolare dei tratti specifici che possono essere interpretatati sia come campanelli di allarme, che come fattori di rischio. «Le persone ansiose, non di rado, hanno difficoltà a riconoscere le proprie emozioni. Tanto che alcuni sintomi, come ad esempio l’iperventilazione, sono caratteristici sia degli alessitimici che degli ansiosi», dice l’esperta.
Per fortuna chi è alessitimico non è condannato ad esserlo per tutta la vita. «La prima cosa da fare è una buona diagnosi, per la quale abbiamo a disposizione un test studiato ad hoc: il TAS 20. Attraverso questa analisi del paziente sarà possibile comprendere quanto ci sia di patologico nel suo atteggiamento e quanto, invece, sia un semplice indotto comportamentale. Questo perché se siamo di fronte ad una persona estremamente timida non si potrà mai aspirare a trasformarla in un animatore delle feste, ma si potranno senza dubbio migliorare quegli aspetti che gli causano sofferenze più o meno quotidiane», spiega Andronico
«Training autogeno, mindfulness e meditazione sono i trattamenti più efficaci. Chi pratica queste tecniche impara ad entrare in contatto con la parte più profonda di sé. Ne percepirà i segnali e, man mano, imparerà anche a riconoscerli», assicura la psicoterapeuta.
Ma come per molte altre patologie, anche per l’alessitimia la prevenzione è la miglior cura. «Sarebbe auspicabile inserire dei programmi di educazione emozionale nelle scuole, fin dall’infanzia. Insegnare ai nostri bambini a distinguere le proprie emozioni e le reazioni sia fisiche che mentali ad esse correlate significherebbe diminuire significativamente la possibilità che tra gli adulti di domani – conclude – ci possano essere soggetti affetti da alessitimia, persone “isolate” nel bel mezzo dei festeggiamenti».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato