Salute 22 Ottobre 2024 14:14

L’attività cerebrale a riposo dei bambini cambia in base al sesso

Una ricerca dell’Università di Padova, in collaborazione con IRCCS “E. Medea” di Conegliano e l’Università di Cambridge, ha scoperto la relazione tra il funzionamento neurale in condizioni di riposo e il funzionamento cognitivo quotidiano in bambini di età prescolare

L’attività cerebrale a riposo dei bambini cambia in base al sesso

L’attività cerebrale dei bambini in età prescolare a riposo cambia in base al sesso biologico. E attraverso questa stessa attività è possibile prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive. Quetso è quanto emerge da uno studio guidato da Lisa Toffoli e Giovanni Mento del Dipartimento di Psicologia Generale dall’Università di Padova, in collaborazione con l’IRCCS “E. Medea” di Conegliano e dell’Università di Cambridge. I risultati, pubblicati sulla rivista Human Brain Mapping, dimostrano che esiste una relazione tra il funzionamento neurale in condizioni di riposo (chiamato resting state, stato in cui il cervello non è impegnato in attività cognitive attive o compiti specifici) e il funzionamento cognitivo quotidiano in bambini di età prescolare (4-6 anni).

Le comunicazioni cerebrali non cambiano all’interno della stessa facsia d’età

I ricercatori hanno evidenziato che la stabilità, la durata e la direzione delle comunicazioni cerebrali – il modo in cui le informazioni vengono trasmesse ed elaborate all’interno di una singola area o tra diverse aree del cervello – in assenza di richieste cognitive non cambiano all’interno della fascia di età considerata ma differiscono in base al sesso biologico. Le richieste cognitive si riferiscono alle sollecitazioni e alle sfide che il nostro cervello deve affrontare per elaborare informazioni, risolvere problemi, prendere decisioni e svolgere attività che richiedono attenzione e concentrazione; possono variare in intensità e complessità e sono fondamentali nello sviluppo delle abilità cognitive, specialmente nei bambini.

I bambini che attivano di più le aree frontali hanno una migliore regolazione emotiva

In particolare, i maschi mostrano un’attività cerebrale più variabile e meno prevedibile, caratterizzata inoltre da una maggiore attivazione del Default-Mode Network, il circuito associato alla “testa tra le nuvole” (mind wandering). Al contrario, le femmine attivano più spesso le aree prefrontali, maggiormente associate alla capacità di concentrazione e attivazione cognitiva. I ricercatori hanno inoltre osservato, sulla base dei questionari compilati dai genitori, che i bambini e le bambine che attivano di più le aree prefrontali mostrano una migliore regolazione comportamentale ed emotiva, mentre chi attiva più spesso il Default-Mode Network riporta maggiori difficoltà.

Allo studio le abilità mentali che ci aiutano a pianificare e portare a termine azioni

“Questo studio aveva due obiettivi principali: il primo era capire se e come l’attività cerebrale a riposo dei bambini differisce in base al sesso biologico e all’età”, afferma Lisa Toffoli, prima autrice dello studio e ricercatrice dell’Università di Padova. “Il secondo era esaminare se questa attività fosse in grado di prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive, cioè quelle abilità mentali che ci aiutano a pianificare e portare a termine azioni”, aggiunge. “Per la prima volta in questa fascia d’età è stata utilizzata una tecnica innovativa di machine learning chiamata “Hidden Markov Models” (HMM) applicata a dati di elettroencefalografia ad alta risoluzione spaziale, che ha permesso di identificare quali aree del cervello comunicano tra loro e come queste comunicazioni cambiano in tempi rapidissimi, nell’ordine di millisecondi”, spiega Gian Marco Duma, che ha supervisionato la collaborazione con l’IRCCS E. Medea.

Più vicini a potenziali target neurali nei processi riabilitativi

“Questi risultati potrebbero avere significative implicazioni per popolazioni cliniche, in particolare per i disturbi del neurosviluppo come autismo e ADHD, identificando potenziali target neurali nei processi riabilitativi”, afferma Giovanni Mento, corresponding author dello studio e docente al Dipartimento di Psicologia Generale dall’ateneo patavino. “Questo potrebbe facilitare approcci terapeutici personalizzati soprattutto in età prescolare, una fase cruciale per lo sviluppo cognitivo”, conclude.

 

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