Un nuovo studio retrospettivo, condotto in Israele e pubblicato sulla rivista Brain, ha evidenziato anomalie d’organo in epoca fetale in 3 bambini autistici su 10. Valeri (neuropsichiatra): «Un’ulteriore dimostrazione che l’autismo non compare alla nascita o durante la prima infanzia, ma è un disturbo che “si organizza” già durante la vita prenatale»
Anomalie nel cuore, nei reni e nel cervello sono state evidenziate in circa il 30% dei feti che in seguito hanno ricevuto una diagnosi di disturbo dello spettro autistico. È questo il principale risultato di uno studio retrospettivo condotto dagli scienziati dell’Università Ben-Gurion del Negev e del Soroka Medical Center in Israele e pubblicato sulla rivista scientifica Brain.
«Le anomalie al cuore, ai reni e al cervello riscontrate durante l’ecografia prenatale di routine, effettuata nel secondo trimestre di gravidanza, nei bambini con autismo (29,3%) sono risultate tre volte più frequenti che nei feti di bambini a sviluppo tipico della popolazione generale (9,6%) e due volte più frequenti rispetto ai fratelli dei bambini con autismo (15,9%). Inoltre, nei bambini autistici, tali anomalie sono più frequenti nel genere femminile», spiega Giovanni Valeri, responsabile dell’Unità Operativa per i Disturbi dello Spettro Autistico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. L’ecografia oggetto dello studio viene solitamente effettuata tra la 18esima e la 20sima settimana di gestazione ed ha una funzione diagnostica molto importante, poiché è in grado di fornire informazioni fondamentali sulla salute del nascituro e sulla presenza di eventuali patologie e malformazioni congenite.
«I ricercatori israeliani – continua Valeri -, avendo a disposizione un database piuttosto ampio, sono riusciti a selezionare e analizzare più di 700 bambini con diagnosi di autismo nell’arco di quasi 14 anni». Lo studio retrospettivo aggiunge un altro tassello sulle origini dell’autismo. «Le anomalie rilevate – continua il neuropsichiatra – confermano i risultati di precedenti studi: l’autismo non compare alla nascita o durante la prima infanzia, ma è un disturbo che “si organizza” già durante la vita prenatale». Un ulteriore prova contro tesi anti-scientifiche che, purtroppo, tuttora circolano tra la popolazione: «C’è chi è ancora erroneamente convito che l’autismo possa essere provocato da eventi postnatali, come traumi oppure le vaccinazioni», precisa il neuropsichiatra.
La prima ricerca che ha collegato l’insorgenza dell’autismo a fattori genetici è datata 1977. «I primi studi condotti sull’argomento – aggiunge lo specialista – sono di genetica comportamentale, condotti soprattutto su gemelli. Successivamente, anche la genetica molecolare ha confermato che l’ereditabilità dell’autismo, cioè la quota di eziologia dipendente da fattori genetici, è del 60-80%. Ma attenzione – sottolinea Valeri -, questo non significa poter diagnosticare l’autismo in epoca prenatale attraverso specifici esami genetici. La ricerca ha individuato centinaia di geni di suscettibilità che, ad oggi, non possono ancora essere utilizzati in modo attendibile per finalità di screening o di diagnosi precoce».
Ma se le cause dell’autismo non sono al 100% rintracciabili nella genetica, quali sono gli altri possibili fattori di rischio? «Si tratta di fattori ambientali – spiega il responsabile dell’Unità Operativa per i Disturbi dello Spettro Autistico del Bambino Gesù di Roma -. che intervengono soprattutto prima della nascita, come l’età dei genitori al concepimento, il ridotto intervallo tra gravidanze, e alcuni fattori durante il primo trimestre di gravidanza, epoca importantissima per lo sviluppo del sistema nervoso centrale. Diversi studi, ad esempio, hanno dimostrato che l’assunzione di alcuni farmaci, come il valproato, nel primo trimestre di gravidanza aumenta il rischio di autismo. Conseguenza riscontrata anche a seguito di infezioni virali contratte dalla madre nei primi mesi di gestazione. Nel periodo perinatale, invece, è la presenza di prematurità grave ad aumentare il rischio di sviluppare un disturbo dello spettro autistico: tra la popolazione generale la prevalenza di autismo è di circa l’1%, tra i prematuri la percentuale sale al 7%».
Ma una buona notizia c’è: l’influenza della vita prenatale sull’autismo è bidirezionale. «Studi scientifici hanno evidenziato anche l’esistenza di fattori protettivi: ad esempio l’assunzione di acido folico un mese prima del concepimento e per i primi tre mesi di gravidanza diminuisce il rischio di autismo». E non è tutto. «Individuare anomalie ecografiche in utero associabili all’autismo significa poter individuare una fascia di bambini a rischio da sottoporre ad un adeguato monitoraggio dello sviluppo neuropsichico, con valutazioni già dai primi mesi di vita – spiega Valeri -. I bambini con autismo vengono solitamente diagnosticati tra i 2 e i 4 anni, quando i genitori rilevano ritardi nel linguaggio e difficoltà relazionali. Una diagnosi precoce, invece – conclude il neuropsichiatra -, permetterebbe di intervenire in modo altrettanto precoce migliorando gli esiti del trattamento».
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