Salute 26 Maggio 2020 10:43

«Le liste d’attesa erano un malato cronico. Dopo l’emergenza saranno un malato terminale». L’indagine della fondazione The Bridge

La presidente Rosaria Iardino: «Solo in oncologia 4 milioni di prestazioni arretrate. Ecco la ricetta per evitare il collasso del SSN»

di Isabella Faggiano
«Le liste d’attesa erano un malato cronico. Dopo l’emergenza saranno un malato terminale». L’indagine della fondazione The Bridge

«Ospedali e ambulatori aperti sette giorni su sette, per dodici ore su ventiquattro. Strutture private convertite all’erogazione esclusiva di prestazioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale. Visite intramoenia sospese. Solo così – dice Rosaria Iardino, presidente della fondazione The Bridge e membro del consiglio di amministrazione dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – lasciando ogni prestazione pubblica per almeno 6-8 mesi, le liste di attesa potranno essere finalmente smaltite».

È stata la stessa fondazione, attraverso un’indagine tra i pazienti italiani, a mettere in luce lo stato di salute dell’accesso alle cure, aggravato dall’emergenza Covid-19: «Le liste di attesa – sottolinea Iardino – erano già un paziente cronico che oggi, dopo questa lunga sospensione dovuta al coronavirus, si ritrova agonizzante. Dal campione che ha risposto al nostro questionario – continua Iardino – risulta che la maggior parte di coloro che avevano già prenotato visite specialistiche presso strutture sanitarie, durante il lockdown, ha preferito rimandarle o cancellarle. E addirittura il 55% di chi presenta patologie croniche ha affermato di aver avuto difficoltà ad accedere ad accertamenti o esami, così come il 65% ha dichiarato di aver avuto tempi di attesa più lunghi. Solo in oncologia ci sono 4 milioni di prestazioni arretrate da erogare».

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Perché si è arrivati a questo punto, nonostante durante la gestione dell’emergenza sia stata prevista la sospensione delle sole prestazioni realmente non urgenti e differibili? «In molti ospedali – spiega la presidente della fondazione The Bridge – sono stati chiusi interi reparti per dirottare il personale nei reparti Covid. Contemporaneamente, durante il lockdown, è stata vietata l’erogazione di prestazioni private per evitare che si creassero situazioni di disuguaglianza tra chi poteva permettersi le cure e chi no. Inoltre, in molti casi, sono stati gli stessi pazienti, malati cronici compresi, a rinunciare alle terapie ospedaliere per paura di contrarre il virus. Solo per fare un esempio, il timore dei cardiopatici di andare al pronto soccorso per un controllo, a seguito di evidenti sintomi cardiaci, ha aumento del 20% la mortalità per queste patologie durante il periodo del lockdown. Ancora, i pazienti con artrite reumatoide hanno subito una doppia discriminazione: le loro prestazioni sono state spostate o annullate e il farmaco che erano abituati ad assumere è diventato irreperibile, perché usato anche per il Covid. L’azienda farmaceutica avrebbe potuto aumentarne la produzione, ma non l’ha fatto, e così molti malati hanno dovuto interrompere il trattamento».

Ma non è tutto. Dall’indagine realizzata dalla fondazione The Bridge per indagare sulla percezione dei cittadini in merito alla qualità dei servizi sanitari ed alle modalità di accesso alle strutture in tempo di emergenza, sono emersi altri problemi. «La maggior parte delle famiglie italiane entrate in contatto con il Covid-19 ha preferito rivolgersi al medico di medicina generale, piuttosto che ai contatti forniti a livello nazionale e locale. Il 44% di chi ha scelto i numeri istituzionali – commenta Iardino – riporta un giudizio negativo, mentre soltanto il 16% si dichiara pienamente soddisfatto delle risposte ricevute».

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Dati che, secondo Iardino, devono indurre a trovare una soluzione nell’immediato ed anche per il futuro: «Il nostro Sistema Sanitario, già sotto stress, una volta terminata l’emergenza rischia il collasso o di non essere più in grado di assorbire la regolare routine. Si sta ipotizzando di svuotare alcuni ospedali per adibirli alla cura esclusiva del Covid, evitando così di far convivere pazienti infetti e non nelle stesse strutture. Ad ogni modo, qualunque sia la soluzione che si sceglierà di adottare, non si può attendere la fine totale dell’emergenza per metterla in atto, altrimenti le prestazioni in attesa di essere erogate diventeranno milioni e milioni. Bisogna agire subito, passando dalla proposta all’azione o – conclude Iardino – finiremo per trasformare la sanità pubblica italiana in un sistema misto, sostenuto per metà dal gettito fiscale e per il restante 50% da assicurazioni private, con un’evidente discriminazione di chi non avrà i soldi per pagarsi le cure di tasca propria».

 

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