La sinergia UPMC e ISMETT per una rete trapiantologica sempre più all’avanguardia
Sempre meno cirrosi da epatite C, sempre più cirrosi derivanti da disfunzioni metaboliche. Le patologie a carico del fegato possono essere considerate una cartina al tornasole dei cambiamenti che riguardano stili di vita e progresso in campo medico? Probabilmente sì. Quel che è certo, è che il trapianto di fegato rappresenta non solo uno degli ambiti maggiormente investiti da innovazione e ricerca negli ultimi anni, ma un efficace parametro di valutazione rispetto all’efficacia delle reti sanitarie regionali e ospedaliere. Complice una storica sinergia con la UPMC (University of Pittsburgh Medical Center), in Regione Sicilia l’ISMETT rappresenta un’eccellenza in ambito trapiantologico, pioniera nell’affermazione di nuove tecniche che garantiscono ai pazienti la miglior risposta di salute possibile. Ne abbiamo parlato con il professor Salvatore Gruttadauria, Direttore del Dipartimento per la Cura e lo Studio delle Patologie Addominali IRCCS-ISMETT UPMC Italy, primo chirurgo siciliano ad eseguire un trapianto di fegato in Sicilia.
«Il trapianto di fegato è entrato ormai nella pratica clinica con successo ormai da diversi decenni – afferma Gruttadauria – ma oggi le indicazioni terapeutiche per procedere a questo tipo di intervento stanno conoscendo delle innovazioni. Infatti, se fino a poco tempo fa la cirrosi epatica conseguente al virus dell’epatite C era la condizione più frequente per procedere al trapianto di fegato, oggi i nuovi farmaci hanno diminuito drasticamente il numero di pazienti con epatite C che sviluppano cirrosi. Oggi, nel mondo occidentale, le patologie che portano più frequentemente alla malattia cronica terminale di fegato sono le cirrosi dismetaboliche, si tratta quindi di condizioni non legate ad un virus ma a comportamenti alimentari e stili di vita errati. Anche in campo oncologico – afferma il professore – c’è stato un cambiamento rispetto alle indicazioni per il trapianto epatico: fino pochi anni fa questo veniva realizzato su pazienti con un tumore primitivo al fegato, cioè il carcinoma epatocellulare, con risultati importanti circa la sopravvivenza di questi pazienti. Oggi il trapianto di fegato viene indicato anche per altri tumori, in particolare per alcuni tumori secondari come le metastasi epatiche da tumore del colon retto. Si è visto infatti, sulla scorta di protocolli ben definiti che selezionano i pazienti sulla base di determinate caratteristiche, che sulle metastasi epatiche da tumore del colon retto è possibile ottenere dal trapianto epatico risultati importanti sul lungo periodo per pazienti in cui altre strade terapeutiche (resezioni epatiche o chemioterapia) non sono più percorribili. Si tratta – prosegue il chirurgo – di una nuova frontiera del trapianto epatico, che si attua sulla base di protocolli sperimentali multicentrici, in cui il paziente deve rispondere a parametri particolarmente stringenti. Sempre in ambito oncologico, si stanno eseguendo sempre più frequentemente, sebbene in maniera molto controllata, trapianti di fegato per colangiocarcinoma perilare e intraepatico, tumori più rari dell’epatocarcinoma cellulari, in quei pazienti per cui la resezione epatica, che rimane comunque l’indicazione primaria per queste patologie, non è praticabile».
«Il trapianto di fegato può considerarsi come la cartina al tornasole della funzionalità del sistema sanitario e delle reti ospedaliere di riferimento – osserva Gruttadauria – a causa della complessità di questo tipo di interventi, che necessariamente prevedono un grande raccordo tra l’equipe deputata al prelievo e e quella deputata al trapianto, ma anche un’eccellenza nella gestione della terapia intensiva del donatore e del trapiantato, e di un approccio multidisciplinare interaziendale. In generale – prosegue – una rete trapianti di successo corrisponde ad un sistema sanitario che funziona. In Italia ci sono in regioni virtuose in questo campo che sono probabilmente un’eccellenza a livello mondiale, ed altre in cui c’è ancora molto da migliorare, soprattutto per raggiungere la media di 21 donatori per milioni di abitanti che è uno standard cui mirare. Le rianimazioni e in generali i reparti dedicati al fine vita sono essenziali per avere un sistema che produca donatori e che dia una possibilità ai pazienti in lista d’attesa per un trapianto salvavita».
«La UPMC (Università di Pittsburgh Medical Center) è stata pioniera, dall’inizio degli anni Ottanta, nel trapianto di fegato. È lì che questa procedura si è affermata – spiega il professore – e ha poi iniziato a diffondersi a livello internazionale attraverso i chirurghi che da tutto il mondo si formavano, appunto, all’Università di Pittsburgh. Questo ha generato una sorta di cordone ombelicale che in Sicilia si è concretizzato in una convenzione tra la Regione e l’Università di Pittsburgh e nella fondazione dell’ISMETT, il nostro centro trapianti multiorgano: una straordinaria opportunità che permette uno scambio relazionale e culturale costante con la principale realtà trapiantologica a livello mondiale, con la possibilità di implementare protocolli congiunti per quanto riguarda terapie di immunosoppressione dopo il trapianto o alcune particolari tipologie di trapianto, al fine – conclude il chirurgo – di offrire un’eccellenza sanitaria ai cittadini siciliani e non solo».
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