Salute 30 Giugno 2020 12:27

Legge 194. E se in ospedale sono tutti obiettori? Viora (AOGOI): «La struttura deve garantire il diritto all’ivg»

«Siamo passati dalle 230 mila interruzioni negli anni ’80 alle attuali 76 mila. Aumentano, invece, i ginecologi obiettori, che rappresentano circa il 69% della categoria»

di Isabella Faggiano
Legge 194. E se in ospedale sono tutti obiettori? Viora (AOGOI): «La struttura deve garantire il diritto all’ivg»

Le donne hanno la libertà di scegliere di interrompere la propria gravidanza, ma allo stesso tempo medici e professionisti sanitari possono opporsi alla pratica dell’aborto, attraverso l’obiezione di coscienza. Due diritti apparentemente inconciliabili ma che trovano un accordo nell’applicazione della legge 194 del 22 maggio del 1978 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza).

«Non esiste, in Italia, una norma che regoli la presenza in pari percentuali, all’interno di una stessa struttura, di medici obiettori e non – spiega Elsa Viora, presidente AOGOI, Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani -, ma l’art.9 comma 4 della legge 194 specifica che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste…”. Ciò significa che il diritto della donna all’interruzione volontaria di gravidanza deve essere rispettato anche nelle strutture dove medici e operatori sanitari sono tutti obiettori di coscienza. L’ospedale – continua la presidente Viora – dovrà assumere un medico non obiettore o provvedere a stipulare dei contratti a gettone per quella specifica prestazione, chiamando il medico esclusivamente per provvedere all’interruzione volontaria di gravidanza richiesta».

Ma nonostante la libertà di scelta sancita dalla legge, negli anni intercorsi dalla sua approvazione ad oggi, sono sempre meno le donne che decidono di ricorrere all’aborto. «L’ultimo rapporto del ministero della Salute, appena pubblicato – commenta la ginecologa -, evidenzia una diminuzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza dal 1982, primo anno in cui sono stati raccolti dei dati ufficiali, al 2018 , data dell’analisi più recente. Siamo passati dalle oltre 230 mila interruzioni negli anni ’80 alle attuali  76 mila. Dati che dimostrano un netto calo anche se valutati in base al numero di gravidanze portate a termine: dai 380 aborti dell’82 si è arrivati a 173 interruzioni nel 2018 ogni mille bambini nati vivi». Aumentano, invece, i ginecologi obiettori che rappresentano circa il 69% della categoria contro il 46% degli anestesisti che si rifiutano di concorrere ad interventi abortivi.

La legge 194 è applicata in modo piuttosto omogeneo in tutta la penisola italiana: «Pur non avendo molti dati a disposizione, possiamo dire che non vi è una evidente mobilitazione interregionale per ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza», aggiunge l’esperta.

Maggiore consapevolezza e diffusione dei metodi contraccettivi sono tra i principali motivi che hanno indotto ad un calo degli aborti. Non solo pillole, preservativi ed altri dispositivi,  ma anche la sempre più diffusa contraccezione di emergenza. «Oggi, la cosiddetta pillola del giorno dopo, che può essere assunta fino a 3-5  giorni dopo il rapporto ritenuto a rischio, può essere acquistata da tutte le donne maggiorenni direttamente in farmacia, senza presentare alcuna prescrizione medica, favorendone l’utilizzo e rendendolo più tempestivo. Se una donna si accorge di aver avuto un rapporto non protetto, di aver dimenticato di assumere la pillola anticoncezionale o ha avuto un imprevisto come la rottura del preservativo – dice Viora -, potrà trovare un grande aiuto nella contraccezione di emergenza che non ha una funzione abortiva, ma quella di evitare la gravidanza impedendo l’annidamento».

Attenzione a non confondere la pillola del giorno dopo con la pillola abortiva, la RU-486: «Questo farmaco consente di ricorrere all’interruzione di gravidanza senza sottoporsi ad un intervento chirurgico. Finora è possibile assumere la RU-486 solo in regime ospedaliero ed entro la settima settimana di gestazione. Ma la nostra società scientifica, in accordo con altre associazioni di settore, ha richiesto che il temine di utilizzo sia prorogato alla nona settimana di gravidanza e che la somministrazione possa avvenire anche in ambulatorio, senza necessità di ricovero. La nostra proposta è stata recepita dal ministro della Salute, Roberto Speranza, che ha formulato un quesito al Consiglio Superiore di Sanità, lo stesso che nel 2010 aveva sancito la possibilità di somministrazione entro la settima settimana».

E in attesa di una pronuncia, c’è chi ha già deciso di imboccare questa direzione: in Toscana, grazie ad una delibera regionale, sarà possibile somministrare la RU-484 anche in regime ambulatoriale. «Un grandissimo vantaggio per le donne, ma anche per il Sistema Sanitario Nazionale: effettuare meno ricoveri per interruzioni volontarie di gravidanza – conclude la presidente AOGOI – significherà anche gravare meno sulle casse dello Stato».

 

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