Si attende un nuovo farmaco specifico per la cura dell’emicrania. Tedeschi (SIN): «Si tratta di una terapia piuttosto costosa che richiederà una rete di strutture e specialisti dedicati»
Il dolore è insopportabile, così come lo sono gli odori, i rumori e le luci. Fastidi che possono essere alleviati da un totale isolamento in una stanza buia. È con questi sintomi che la cefalea compromette da anni la vita di Luca Bonventre, presidente di O.U.C.H., Organization for Understending Cluster Headaches, un’associazione di pazienti che soffrono di cefalea cronica, una patologia che ha recentemente ottenuto il riconoscimento di malattia sociale.
«È un risultato importante – commenta Bonventre -. Soprattutto una rivalsa in ambito professionale. Una malattia come la cefalea cronica costringe ad assentarsi continuamente e regolarmente dal proprio posto di lavoro, e se non si resta a casa la produttività è comunque compromessa. Nonostante sia una patologia grave, è stata troppo spesso confusa con quei comuni mal di testa che scompaiono con un semplice analgesico».
Il paziente con emicrania è sempre stato trattato con pregiudizio: «Il disturbo – spiega Gioacchino Tedeschi, presidente della Società Italiana di Neurologia (SIN) -, non potendo essere visibile o associato ad una lesione cerebrale, ad una malformazione o ad un evidente deficit motorio, non veniva riconosciuto come malattia. Di conseguenza, una legge che annoveri la cefalea cronica tra le malattie sociali restituisce dignità al paziente, che può finalmente e giustamente definire il suo malessere una vera e propria patologia».
Una rivalsa importante soprattutto per le donne, il genere principalmente colpito da questa malattia: ne soffrono circa 7 milioni di italiani con un’incidenza tre volte maggiore nel sesso femminile. Il 42,2% dei pazienti ha tra i 55 e i 65 anni.
«L’emicrania può essere definita cronica – continua Tedeschi – quando un paziente ne abbia sofferto almeno per 15 giorni su trenta negli ultimi tre mesi. Una condizione invalidante che può seriamente compromettere la quotidianità e le capacità lavorative».
E Luca Bonventre, come tutti gli altri membri di O.U.C.H., ne è la testimonianza vivente. «Per due lunghissimi anni – racconta il presidente dell’associazione di pazienti – ho avuto dieci attacchi al giorno, tutti i giorni, nessuno escluso. E ad ogni attacco non potevo che ricorrere ad un’iniezione. Non ho rinunciato al mio lavoro, ma durante la giornata dovevo più volte chiudermi in bagno per somministrarmi la terapia e nessuno comprendeva questa mia urgenza di isolamento».
La legge recentemente approvata, che riconosce l’emicrania cronica come malattia sociale, rappresenta un cambiamento atteso da molto tempo. «Il mutamento è soprattutto culturale – dice Tedeschi -. I pazienti che soffrono di questa patologia ora avranno accesso agli stessi diritti riconosciuti a tutti coloro che soffrono delle malattie cosiddette “sociali”, servendosi così delle agevolazioni che la nostra giurisdizione prevede».
Ma non si tratta di un traguardo, «piuttosto di un punto di partenza – sottolinea Bonventre – poiché esistono cure, come quelle la cui indicazione terapeutica non è esplicitamente per la cefalea, che i pazienti sono costretti a pagare di tasca propria. E in alcuni casi, parliamo di cifre che hanno costretto le persone a richiedere un prestito».
Entro la fine di quest’anno dovrebbe concludersi l’iter ministeriale di registrazione per l’ultimo degli anticorpi monoclonali (fremanezumab) che stanno rivoluzionando la terapia di prevenzione dell’emicrania. Le terapie possono essere divise in due macrocategorie: la prima allevia l’attacco acuto, l’altra è di profilassi.
«Quando gli attacchi sono frequenti e dolorosi – continua Tedeschi – il paziente può chiedere allo specialista di iniziare una terapia profilattica. Fino a qualche tempo fa erano utilizzati solo farmaci presi in prestito da altre patologie (come antidepressivi e antiepilettici) che avevano una discreta efficacia, spesso penalizzata da effetti collaterali che costringevano i pazienti ad abbandonare la cura. Successivamente si è cominciato ad utilizzare la tossina botulinica iniettata direttamente nel cuoio capelluto con cadenza trimestrale».
Ora, la vera rivoluzione terapeutica arriverà con l’impiego dei più recenti anticorpi monoclonali: «Quando si ha un trattamento efficace, anche i medici hanno più interesse a curare il paziente», spiega il neurologo. La legge sull’emicrania cronica rappresenta, dunque, un passo importante che accende i riflettori su una patologia diffusa e invalidante. Ma non può essere l’unico.
«Quella che attendiamo è una terapia piuttosto costosa che richiederà una rete di strutture e specialisti dedicati alla prescrizione del farmaco e al follow-up dei pazienti trattati. Un mancato monitoraggio dell’utilizzo di questo farmaco – spiega il presidente SIN – potrebbe condurre ad un’esplosione ingiustificata della spesa a carico del Sistema Sanitario Nazionale».
Una rete che l’ O.U.C.H ha già messo in piedi per rispondere ad altre esigenze: «Come associazione siamo in prima linea da 20 anni per difendere i diritti di chi soffre di emicrania e, tra i tanti risultati, grazie all’aiuto di numerosi specialisti abbiamo creato una sorta di pronto soccorso, dei punti di riferimento dislocati in tutti Italia a cui rivolgersi in caso di necessità urgenti. Ora il nostro prossimo impegno sarà quello di ottenere il diritto all’invalidità. Diritto – conclude il presidente di O.U.C.H – riconosciuto solo in pochissime regioni d’Italia».
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