Nel meeting virtuale organizzato da AIIC un confronto con SIAARTI, FARE, SIFO e Confindustria Dispositivi Medici. L’invito a tornare a investire nella sanità e nella produzione nazionale, alleggerendo il codice appalti
In prima linea nella gestione dell’emergenza, gli operatori della salute hanno affrontato e continuano ad affrontare le difficoltà pratiche a cui il Covid-19 ha sottoposto l’Italia. AIIC (Associazione italiana ingegneri clinici) ha riunito intorno ad una tavola rotonda digitale SIAARTI, FARE, SIFO e Confindustria Dispositivi medici per discutere la gestione dell’emergenza in un Paese come il nostro.
Un confronto di sistema necessario, secondo il presidente AIIC Lorenzo Leogrande, per poter basare la riorganizzazione su quel che si è imparato. «Il Covid-19 ci ha colti tutti di sorpresa – ha affermato Leogrande – e ci ha obbligati ad agire con rapidità. Alla ricerca di questa velocità di azione abbiamo riscontrato un basso coinvolgimento della nostra figura professionale e una mancanza di sensibilità verso le criticità di gestione della variabile tecnologica». Per molti le regolatorie a cui i macchinari vengono sottoposti, che ne hanno causato un ritardo nell’utilizzo, sono state classificate come “burocrazia” «quando invece – ha specificato – si tratta di step assolutamente necessari per garantire la sicurezza dei pazienti e non è a spese di questi che va velocizzato il processo».
«Non è il controllo dei macchinari contro il Covid-19 a costituire il problema – ha risposto Salvatore Torrisi, presidente di FARE (Federazione delle Associazioni regionali degli Economi e Provveditori della Sanità) – ma le procedure connesse alle gare d’appalto. Il bando Consip è stato sicuramente un tentativo encomiabile – ha chiarito – ma ha avuto l’effetto di bloccare tutte le gare a livello regionale e aziendale». Il mercato non era pronto a un simile richiesta «e molte apparecchiature devono ancora arrivare». Per Torrisi, «il codice degli appalti è inadeguato, va assolutamente modificato nella tendenza del legislatore a introdurre cavilli di ogni genere. Un’emergenza ha bisogno di soluzioni smart, il lasso di tempo minore previsto in Italia sono 15 giorni per l’attivazione, è poi logico che si agisca per deroghe».
«Avevamo lamentato sin dall’inizio dell’emergenza in Oriente le difficoltà che le terapie intensive avrebbero avuto in Italia». Così Flavia Petrini, a capo di SIAARTI (Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva), che ha messo in luce una delle criticità più discusse del Sistema sanitario nazionale: «I posti erano pochi già da prima e per il 50% già occupati, non avrebbero potuto reggere». I diversi tempi di diffusione del virus hanno poi concesso alle regioni del sud di riattivare aree ormai da anni inutilizzate. «Non scarseggiano solo ventilatori ed ecografi, ma anche i farmaci sedativi e miorilassanti con cui i pazienti in terapia intensiva vengono trattati – ha aggiunto Petrini –. E nonostante questo c’è un indice di sopravvivenza del 65%, significa che si sta facendo l’impossibile».
«Purtroppo queste sono le conseguenze del progressivo depauperamento a cui è stato sottoposto il Sistema sanitario nazionale – ha continuato la presidente di SIFO (Società italiana farmacisti ospedalieri), Simona Creazzola –. Di fronte alla difficoltà di approvvigionamento dei farmaci noi abbiamo dovuto rispondere con ogni nostra competenza. Il territorio ne ha fatto le spese maggiori, quando avrebbe potuto aiutare il decongestionamento degli ospedali».
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Il direttore generale di Confindustria Dispositivi medici, Fernanda Gellona, ha parlato anche di confusione nelle richieste di materiale, arrivate spesso per la stessa struttura da parte della regione e dello stato, rischiando di sovrastimare le necessità. «Gli stessi problemi che abbiamo affrontato con il reperimento dei ventilatori polmonari – ha raccontato Gellona – li stiamo vedendo con tamponi e test sierologici. La sanità ha i suoi tempi, molti diagnostici sono sotto validazione e questi passaggi non si possono saltare, ne va della sicurezza dei pazienti». Quando i prodotti sono pronti, le richieste del Ssn vengono privilegiate, ma «la mancanza di un coordinamento con il territorio ci ha messo in seria difficoltà».
Carenze di farmaci e dispositivi, governo della sicurezza, approvvigionamenti, gestione delle apparecchiature e rapporti all’interno degli organismi sono, per gli operatori, i principali aspetti da migliorare. Senza dimenticare un vaglio delle migliori pratiche messe in atto.
Come la rete nazionale allestita da SIFO per confrontarsi sulla gestione dell’emergenza giornaliera. Corredata dalla preparazione di istruzioni operative e preparati magistrali per sopperire alla mancanza di farmaci e disinfettanti, anche per quella più recente di clorochina. «In preparazione anche un documento tecnico per valutare singolarmente la conformità dei dispositivi di sicurezza» ha aggiunto Creazzola. O come la rete FARE, composta da 350 aziende sanitarie con l’intento di indicare tutti i prodotti disponibili in pronta consegna, per accelerare i tempi. Poi, l’attività di conversione e creazione di nuovi posti in terapia intensiva da AIIC e il network costruito con gli ingegneri di tutta Europa. E l‘impegno di Confindustria Dm nel mantenere i prezzi bassi, nonostante le difficoltà di molte imprese non coinvolte nell’emergenza Covid.
Ora, per quando l’emergenza sarà sedata, la richiesta degli operatori della sanità è non perdere i progressi e le riflessioni fatte. «Si continui a investire sulla sanità e nella figura del farmacista nelle aziende sanitarie, il cui lavoro va riconosciuto – ha chiesto Creazzola (SIFO) – e non più caricato in silenzio». «Si punti a un federalismo che davvero funzioni, che porti a un vero coordinamento con le regioni che si è dimostrato la chiave in questa situazione straordinaria» ha chiesto Gellona (Confindustria).
«Questo deve essere un momento da cui ripartire – ha concluso Torrisi (FARE) – con un sistema di investimenti che non insegue più il prezzo più basso, ma che punti alla produzione nazionale strategica. Sopratutto torniamo con una fiducia rinnovata da parte di Stato e cittadini verso gli operatori sanitari».
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