Salute 15 Settembre 2021 11:46

Leucemia, nei podcast “Diamo voce al futuro” di AIL e Janssen storie di pazienti per sostenere la ricerca

L’obiettivo è rendere le terapie con cellule Car-T sostenibili dal sistema sanitario nazionale e accessibili a tutti
di Federica Bosco

Diamo voce al futuro” per informare e portare all’attenzione del grande pubblico le sfide dei pazienti contro i tumori del sangue e i progressi compiuti da medici e ricercatori. È l’iniziativa di Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma e Janssen Oncology: un programma realizzato con podcast e video podcast accessibile da oggi online e sui principali social network.

La voce narrante di Massimo Temporelli condurrà gli ascoltatori in tre aree di interesse: la prima dedicata al tumore del sangue (come si manifesta e come si cura), la seconda focalizzata sulle emozioni dei pazienti con “Io non ho paura”, e la terza più strettamente legata al mondo di AIL con la testimonianza di volontari impegnati a rispondere ai bisogni di cura.

«Dal 1983 noi lavoriamo in questo ambito con servizi basati su ascolto e dialogo per far sì che il paziente si senta al centro di un sistema virtuoso capace di creare corretti percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali» – spiega Loredana Bergamini, direttore medico di Janssen Italia -. La tecnologia ci ha aiutato moltissimo durante la pandemia – riprende Bergamini – nell’avvicinare i centri di ricerca al paziente per non perdere in termini di qualità e assistenza, garantendo un percorso di cura a domicilio».

Il digitale che cambia il futuro

“Diamo voce al futuro” è anche speranza perché oggi la ricerca viaggia veloce e le nuove terapie rappresentano la principale sfida che il sistema sanitario nazionale deve raccogliere per garantire le migliori cure ai pazienti. «Credo che si possano conciliare i due temi investendo sul digitale, sulle competenze e sulla progressiva collaborazione tra pubblico e privato nella ricerca, e infine vedendo il bisogno di cure e di interventi terapeutici non come un costo, ma come un investimento».

Prima terapia genetica

Leucemie, linfomi, mielomi sono tumori rari per i quali la ricerca ha un ruolo fondamentale. Ogni anno in Italia sono 36 mila i nuovi casi. Grazie a nuovi farmaci e terapie cellulari più avanzate si possono ottenere dei risultati che solo 10 anni fa non erano immaginabili.

«Oggi abbiamo a disposizione la prima terapia con cui si modificano geneticamente le cellule permettendo al 30-40 per cento dei casi considerati terminali di guarire. È una grande rivoluzione – aggiunge Sergio Amadori, presidente nazionale AIL –. Il nostro obiettivo è sostenere la ricerca scientifica, mettendo a disposizione consulenze gratuite a chiunque si trovi ad affrontare un tumore ematologico».

Il 75% dei casi cronicizza la malattia

Un messaggio di speranza arriva anche da Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e Direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. «La ricerca sui tumori del sangue è migliorata negli ultimi 20 anni con la terapia di precisione attuata con il primo anticorpo monoclonale. Un risultato grazie al quale oggi molti dei trattamenti chemioterapici di una volta non sono più necessari, mentre la probabilità di guarigione di una leucemia linfoblastica acuta, che è il tumore più frequente dell’età pediatrica, supera il 90 per cento».

«Un esempio tra tutti – continua – è rappresentato dalla terapia con cellule Car-T, basata sull’impiego di linfociti del paziente geneticamente modificati per essere reindirizzati sul bersaglio tumorale. Questa terapia ha mostrato una rilevante efficacia sia per le leucemie linfoblastiche acute del bambino, che per i linfomi a grandi cellule B dell’adulto. Grazie a queste terapie innovative nel 75 per cento dei casi la malattia diventa cronica. Ora la sfida è di allargare la terapia anche alla cura dei tumori solidi come il neuroblastoma del bambino».

Formazione, costi e accessibilità

I grandi progressi fatti dalla ricerca per essere funzionali devono andare di pari passo con la disponibilità dei farmaci, l’accessibilità alle cure con il servizio sanitario nazionale e la formazione del personale. Nervi scoperti su cui occorre tenere alta l’attenzione. «Fino a tre anni fa i centri abilitati al Car-T erano pochi – sottolinea Paolo Corradini, Direttore della Divisione di Ematologia della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e Cattedra di Ematologia dell’Università degli Studi di Milano –. Oggi in tutta Italia sono 25. Questa è una buona notizia ma resta l’incognita dei tempi necessari per accedere al servizio. Occorre lavorare sulle liste d’attesa e sui giovani. Per questo è fondamentale investire nella formazione e sulla capacità di essere attrattivi affinché i giovani non vadano all’estero».

 

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