«Grazie alla luce di Cherenkov è possibile attivare gli agenti utilizzati nella diagnostica per immagini o monitorare l’attività enzimatica. In futuro riusciremo ad utilizzarla per minimizzare i danni della radioterapia». Parla Jam Grimm, professore associato di Radiologia alla School of Biomedical Sciences di New York
Ogni volta che una particella carica si muove in un mezzo con una velocità più alta di quella della luce si genera un effetto luminoso. Si tratta della cosiddetta luce di Cherenkov, che prende il nome dal primo scienziato che è riuscito a rilevarla sperimentalmente: il sovietico Pavel Cherenkov, vincitore del premio Nobel nel 1958.
L’effetto Cherenkov è alla base di diversi fenomeni, tra i più caratteristici e conosciuti c’è sicuramente la luce azzurra che si può osservare dai reattori nucleari. Proprio grazie a questa luce azzurra (ben visibile) un gruppo di ricerca dell’Università di Dartmouth, nel New Hampshire, ha intuito la possibilità di utilizzare Cherenkov in medicina in relazione alle terapie oncologhce. Perchè? «La differenza sostanziale rispetto alle altre tecniche terapeutiche oncologiche – spiega ai microfoni di Sanità Informazione Jam Grimm, radiologo, membro del programma di farmacologia molecolare e professore associato di Radiologia alla School of Biomedical Sciences di New York -, è che la radiazione di Cherenkov potrebbe rendere visibili i raggi X. Sappiamo che durante le radiografie non è possibile vedere i fasci di radiazione che ci attraversano, la stessa cosa accade in oncologia durante la radioterapia per la cura dei tumori».
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«A causa di questo ‘limite’ – spiega Grimm -, nella cura dei tumori vengono danneggiate anche le cellule sane perché non è possibile colpire solo la zona interessata. Invece, utilizzare il radiotracciante permetterebbe di arrivare direttamente al tumore. Nello specifico, permetterebbe di somministrare la terapia antitumorale nella zona precisa dove si è sviluppato il tumore. Grazie a questa luce indotta sarà possibile mirare la cura in un unico specifico punto, quello malato, con il grande vantaggio – prosegue – di risparmiare a tutti gli altri organi gli effetti collaterali della terapia».
«Grazie alla luce di Cherenkov inoltre – continua Grimm – è possibile utilizzare radiotraccianti clinicamente approvati. Di conseguenza possono essere impiegati e controllati, anche nell’ambito della diagnostica per immagini, senza dover aspettare l’autorizzazione delle autorità competenti, delle amministrazioni federali se ci trovassimo negli Stati Uniti o delle Agenzie Europee, operando in Italia. Al momento, questo è il vantaggio principale – ha specificato Grimm -. Ma grazie alla luce di Cherenkov siamo anche in grado di fare dei “trucchetti carini”. Possiamo attivare gli agenti utilizzati nella diagnostica per immagini o monitorare l’attività enzimatica. Attività che, di solito, non può essere quantificata con le strumentazioni di medicina nucleare a “luce normale”».