“I social possono amplificare sia gli interventi preventivi che i fattori di rischio del suicidio”. A sottolinearlo all’Adnkronos Salute è Giancarlo Cerveri, consigliere esecutivo della Società italiana di psichiatria (Sip) e direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendenze dell’Asst di Lodi. Secondo l’esperto, gli spazi virtuali offerti dal web possono essere tante cose per i giovanissimi: abissi dove annegare, detonatori di disagio, ma anche piazze dove lanciare richieste di aiuto, come dimostrare le 195 segnalazioni di intenti suicidi arrivate in tutto lo scorso anno al commissariato di Pubblica Sicurezza online, sito ufficiale della Polizia Postale che riceve le segnalazioni direttamente dal cittadino attraverso la posta elettronica, principalmente su reati e situazioni di pericolo trovate sul web, e non solo.
“Il suicidio, in una popolazione giovane e sana come quella degli adolescenti, è una delle più rilevanti cause di morte“, sottolinea Cerveri. Il ruolo dei social network in queste dinamiche è “una questione molto ben conosciuta. E si lavora – dice Cerveri – in termini di prevenzione anche su questo fronte. La prevenzione più rilevante è diminuire i fattori di rischio“. E i social network possono avere un lato oscuro. “Sono diventati degli elementi pervasivi, di grande importanza per gli adolescenti, come fonte di informazioni e come modelli di comportamento. Mi è capitato per esempio – continua – di avere persone che si tagliavano avendo visto comportamenti anticonservatori tramite social network, o persone che hanno avuto delle problematiche comportamentali gravi, anche tentati suicidi, a seguito di assunzione di sostanze che per esempio erano riusciti a reperire tramite i social”.
“Un tempo c’era il problema della famiglia che poteva mettere in grande difficoltà l’adolescente e dare sofferenza, adesso l’ambito ambientale – dice Cerveri – si è allargato anche ai social network, che sono presenti nella struttura intorno all’adolescente o al giovane adulto e con cui noi abbiamo a che fare”. I rischi possono essere molteplici. “Il fenomeno del bullismo e la percezione della solitudine possono essere amplificati da un utilizzo sbagliato e negativo del social”, fa notare Cerveri. “Se il bullismo in una classe avviene in un gruppo di pochi, in un ambiente molto più ampio seppur virtuale rischia di essere percepito come un bullismo diffuso e molto più pressante. E’ sicuramente un elemento critico. Poi – continua – ci sono stati di recente questi meccanismi un po’ perversi che giravano nella rete, catene spaventose che creano una sorta di ammiccamento a comportamenti anticonservatori. E’ un fenomeno su cui credo sia importante intervenire con delle azioni preventive, perché lo conosciamo ancora troppo poco e probabilmente è molto pericoloso”.
L’approccio ai social deve essere “laico”, puntualizza lo psichiatra. “Perché è indiscutibile che, se prendiamo la fase del lockdown ai tempi del Covid – fase in cui tutti hanno patito la solitudine e la perdita delle relazioni – grazie a questi strumenti di comunicazione la fascia d’età degli adolescenti e dei giovani adulti è quella che ha avuto un maggior grado di resilienza”, spiega Cerveri. Da qui deriva “l’altra questione su cui forse dobbiamo lavorare di più – riflette l’esperto – e cioè riuscire a costruire dentro queste strutture, dentro questi social network, invece che catene negative delle specie di salvagenti, dei luoghi che possono essere riconosciuti come capaci di dare delle informazioni rassicuranti, delle informazioni utili e anche delle possibilità di aiuto. Forse bisognerebbe riuscire a rendere anche i servizi di salute mentale che si occupano di adolescenti più ‘smart’, più ‘accattivanti’ in rete. Qualche progetto c’è in questo senso, l’amministrazione pubblica è più lenta in questi passaggi ma ci si sta provando. Il sogno è diventare virali sì, ma in senso positivo”.
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