Il presidente della Società Italiana di Medicina dello Sport e dell’Esercizio: «Per soggetti con diabete di tipo 2, in sovrappeso, di media età o anziani, è consigliato un esercizio di endurance e di potenziamento muscolare adeguati. Attività di ricondizionamento per le patologie cardiovascolari. Dimostrata l’efficacia contro la depressione, anche in gravidanza»
«L’esercizio fisico è un farmaco e, come tale, deve essere adattato alle esigenze del singolo individuo». È così che Deodato Assanelli, presidente della Società Italiana di Medicina dello Sport e dell’Esercizio (Simse) descrive il valore terapeutico di una vita attiva, ricalcando il parere degli esperti americani dell’American College of Sport Medice (www.acsm.org). L’Acsm è famosa in tutto il mondo per aver redatto numerosi “position stands” che dimostrano l’efficacia dell’esercizio fisico sul benessere di pazienti affetti da diverse malattie.
Stadio e tipo di patologia, età e sesso del paziente, attività fisica abituale sono dei fattori fondamentali da valutare prima di “prescrivere” qualsiasi tipo di esercizio fisico. «È come un abito cucito su misura – ha detto Assanelli – Prima di cominciare la sua lavorazione sono indispensabili alcune misure preliminari. Nel caso dell’esercizio fisico è necessario sottoporre l’individuo ad alcuni specifici test che misurano forza, flessibilità, equilibrio e endurance (capacità aerobica). Il medico dello sport dovrà, poi, interagire con lo specialista che ha in carico il paziente per assicurarsi che non ci siano controindicazioni relative alle patologie da cui è affetto».
Soltanto incrociando i risultati ottenuti e valutando attentamente lo stato di salute dell’individuo sarà possibile prescrivere il “farmaco” più adeguato: «In questo caso il nostro farmaco è l’esercizio fisico, da non confondere con l’attività fisica o con lo sport. Per attività fisica si intende una contrazione muscolare che determina un dispendio energetico, l’esercizio è invece un’attività continuativa, lo sport un esercizio fisico finalizzato ad un obiettivo, ad un risultato. Chi fa sport vuol vincere».
Fatte queste necessarie premesse, se l’esercizio fisico è “un abito su misura”, diverso da paziente a paziente, come è possibile fornire una descrizione della loro efficacia terapeutica? «Definendo delle categorie omogenee – ha spiegato il presidente Simse – in cui i pazienti abbiamo la stessa patologia, al medesimo stadio e siano tutti compresi in una specifica fascia di età».
Facciamo un esempio: «Per soggetti con diabete di tipo 2, in sovrappeso, di media età o anziani, è consigliato un esercizio di endurance, ovvero di resistenza: dalla camminata, alla corsa, alla bici, fino allo step. A questo – ha continuato Assanelli – va sommato, almeno due volte su tre, il potenziamento muscolare con l’utilizzo di macchine, elastici o anche a corpo libero».
Più in generale, per gli anziani è importante allenare la flessibilità: «Una sua diminuzione può causare un blocco delle articolazioni, influendo sulla perdita di autonomia. Chi ha problemi di equilibrio, poi – ha consigliato ancora il presidente Assanelli – deve fare anche esercizi che possano migliorarli».
Il discorso cambia se la persona anziana, come spesso succede, a causa dell’età avanzata o per la presenza di patologie croniche, soffre di sarcopenia (perdita di massa muscolare, ndr): «Sottoporre un paziente sarcopenico ad un esercizio di endurance peggiora la sua condizione. Per questo – ha commentato l’esperto – prima di ogni altra cosa, sarà necessario fortificare la sua massa muscolare e solo successivamente potenziare l’endurance».
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Anche per chi soffre di patologie cardiovascolari l’esercizio fisico può essere un vero toccasana: «Si consigliano soprattutto attività di ricondizionamento. Ovviamente prima di qualsiasi prescrizione è necessario sottoporre il paziente ad una prova da sforzo, preferibilmente massimale, per capire oltre quale soglia cardiaca e quale frequenza cardiaca inizia il metabolismo anerobico con produzione di acido lattico. Il soggetto, in una prima fase – ha specificato Assanelli – dovrà lavorare sempre al di sotto di questa soglia. Inoltre, la malattia cardiaca deve essere clinicamente stabile, la fase acuta superata, senza rischi noti di peggioramento».
L’esercizio fisico non allena solo il corpo, ma anche la mente: «Diversi studi hanno dimostrato che gli anziani che fanno attività fisica regolare hanno meno problemi di natura cognitiva, rispetto a chi fa una vita sedentaria. Altre ricerche – ha aggiunto il presidente Simse – hanno mostrato, invece, come l’esercizio fisico programmato nel tempo sia in grado di ridurre la depressione, integrando o addirittura sostituendo la cura farmacologica».
Una terapia adeguata anche per le donne in dolce attesa: «Una ricerca spagnola – ha detto Assanelli – ha dimostrato che fare esercizio fisico durante la gravidanza riduce la possibilità di sviluppare forme di depressione». Ma i benefici per le puerpere non finiscono qui: «I dati emersi da uno studio vietnamita – ha commentato ancora lo specialista – dimostrano come l’esercizio fisico sia in grado di ridurre il rischio di diabete gestazionale».
Malattie croniche, patologie cardiovascolari, depressione, diabete. Sono, dunque, solo alcuni dei casi in cui l’esercizio fisico può supportare la terapia. Ma come un qualsiasi altro farmaco va somministrato nel modo giusto. «Per quanto tempo fare esercizio? – ha chiesto Assanelli- Dipende dall’obiettivo. Se l’intenzione è quella di mantenere la propria forma fisica o di ottenere un leggero miglioramento allora l’esercizio dovrà essere moderato o medio. L’attività va comunque ripetuta almeno tre volte alla settimana perché la sua efficacia si esaurisce in 48 ore. Di conseguenza, far passare un lasso di tempo più lungo tra un allenamento e l’altro equivarrebbe ad un’interruzione della terapia. I pazienti obesi, invece, che hanno l’obiettivo di perdere molti chili, dovranno mantenere un regime alimentare ipocalorico e fare esercizio fisico per almeno 5 ore alla settimana, fino a 7-8 ore ed oltre. Più ne faranno e più l’intervento sarà efficace e duraturo nel tempo».
E per garantire dei risultati di lunga durata è necessario modificare ogni cattiva abitudine, anche oltre le ore dedicate all’allenamento: «In aggiunta agli esercizi con supervisione, a casa – ha spiegato il presidente Simse – è consigliabile utilizzare un contapassi o un accelerometro, in modo che il medico possa verificare il grado di attività del paziente durante l’arco della giornata. Allo stesso tempo, l’individuo, sapendo di essere controllato, tenderà a prestare maggiore attenzione al suo benessere. Ogni mutamento presuppone che chi cambia sia motivato a farlo. Se il soggetto non crede negli obiettivi prefissati o, semplicemente, non ha voglia di raggiungere dei risultati, ottenerli sarà davvero duro. Cambiare gli stili di vita è difficile, bisogna creare un rapporto fiduciario tra il medico e il paziente e, soprattutto, lavorare affinché duri nel tempo, almeno per sei mesi o un anno. Più a lungo durerà – ha concluso Assanelli – più sarà efficace nel ridurre l’incidenza delle malattie e delle loro complicanze».