«Negli anni ‘50 e ‘60 i diversamente abili erano considerati “corpi estranei”, adesso c’è più apertura», lo racconta Carlo Di Giusto, atleta paralimpico, allenatore della Nazionale italiana di Basket in carrozzina
Lo sport è un mezzo privilegiato per l’inclusione sociale dei diversamente abili. Infatti l’attività sportiva promuove l’autostima e lo sviluppo della personalità, aiuta il confronto sano ed è un utile mezzo per affermare la propria autonomia. Ce lo racconta Carlo Di Giusto, ex cestista, atleta paralimpico e allenatore della Nazionale Italiana di Basket in carrozzina.
«Lo sport è il salto fondamentale per una vita vissuta pienamente, soprattutto per chi ha qualche difficoltà in più rispetto agli altri». Di Giusto, colpito da poliomielite in tenera età, nonostante le difficoltà motorie, ha iniziato la sua carriera sportiva al Santa Lucia Sport di Roma. Oltre al basket ha praticato l’atletica leggera vincendo un bronzo nel lancio del disco. Ma le vittorie non si fermano qui: Di Giusto ottiene 20 titoli italiani, 10 coppe italia, 3 supercoppe, 3 coppe campioni e 3 coppe Vergauwen. Inoltre ha partecipato e vinto gli Europei nel 2003 e nel 2005, sesto posto alle Paralimpiadi di Atene 2004 e ottavo ad Amsterdam nel 2006.
«Nella sfortuna ho avuto la fortuna di avere una patologia non invalidante che mi ha permesso di avere un’autonomia tale da potermi esprimere al meglio – racconta -. Però devo dire che ho vissuto un periodo storico abbastanza difficile. La disabilità negli anni ’50 e ’60 era diversa, molto più ‘invalidante’. Ricordo quando venivo esonerato d’ufficio nelle scuole mentre i miei compagni andavano a fare educazione fisica, rimanevo lì, ad aspettare come un ‘corpo estraneo’. Ma queste esperienze mi hanno dato modo di sviluppare quello spirito, quella forza che nel momento in cui ho scoperto di poter fare attività sportiva, mi hanno dato la carica e l’energia per farcela. Sono riuscito ad esprimere tutto quello che era il mio ‘tenermi dentro’, avevo la voglia di dimostrare che potevo farcela, anche e soprattutto nello sport».
Tu hai avuto a che fare la Poliomielite, una malattia che fortunatamente è praticamente debellata. Relativamente ai medici che sconsigliano i vaccini, che ne pensi?
«Io ho vissuto direttamente delle esperienze particolari, nel senso che è vero che in Italia questa malattia è stata debellata ma non più di 8-9 anni fa, quando ero nella squadra di basket in carrozzina del Santa Lucia, fra i tanti bambini, una di questi, rumena di 8 anni, era rimasta invalida a causa proprio della poliomielite. In Italia il problema è praticamente risolto ma intorno a noi ancora crea danni, in quest’ottica il vaccino ha un’importanza fondamentale».