Studi internazionali non dimostrano una correlazione diretta dello stress con l’insorgenza della neoplasia, ma piuttosto un ruolo indiretto nella fase di progressione della malattia. Lo psicoterapeuta lavora con l’oncologo per riconoscere i fattori di rischio, gestire senso di colpa e trovare il giusto equilibrio
Esiste una correlazione tra lo stress e l’insorgenza del cancro? A domandarselo sono in molti, tanto che sono stati fatti diversi studi in passato, ma nessuno sembra essere arrivato a evidenze scientifiche nell’uomo. Eppure, la convinzione che una maggiore vulnerabilità causata da uno stato di stress cronico possa contribuire al danneggiamento del DNA cellulare, favorendo la trasformazione delle cellule sane in cancerogene, o possa alterare la resistenza del corpo ad alcuni tipi di virus, è diffusa.
Uno stato di stress cronico sarebbe in grado, infatti, di ridurre l’attività di alcuni tipi di cellule del sistema immunitario e di conseguenza predisporre l’organismo ad ammalarsi, come confermano le parole di Gianluca Castelnuovo, psicologo, psicoterapista e dottore di ricerca in psicologia clinica presso Auxologico IRCCS. «Lo stress fino ad un certo livello può essere uno stimolo, ed infatti si parla di stress positivo, che determina un miglioramento della performance – spiega Castelnuovo -, ma se supera una certa soglia, soprattutto se il corpo non ha risorse per rispondere a quanto chiesto, questo stress diventa negativo e logora i tessuti in particolare con un’attività prolungata nel tempo. Esistono dunque fattori che espongono il corpo ad una maggiore vulnerabilità, questo perché il corpo funziona in maniera integrata con la psiche ed esiste una correlazione tra sistema immunitario e sfera psicologica».
Così, mentre uno stato di benessere permette di prevenire l’insorgenza di un raffreddore, un forte stress può predisporre il corpo ad uno stato infiammatorio. Anche sul lato oncologico non ci sono riscontri. «Ancora oggi rimangono infondate le ipotesi secondo le quali lo stress avrebbe un ruolo diretto nel causare il cancro – analizza Florence Didier, psicologa e psicoterapeuta dello IEO Milano -, anche se ascoltando la storia di molti pazienti è emerso che a breve distanza da momenti di grave crisi (lutti, licenziamenti, fine di una relazione) è seguita l’insorgenza di una grave malattia». Insomma, il nesso sembrerebbe esserci ma non l’evidenza scientifica, eppure tenere a bada lo stress è un buon atteggiamento per frenare l’insorgenza di stati infiammatori. «È chiaro che esiste la necessità di fare prevenzione psicologica affinché una patologia che magari si sarebbe manifestata ugualmente per predisposizione genetica o vari fattori di rischio, si esprima in maniera meno forte o in maniera ritardata», fa notare Castelnuovo. «Molti ricercatori si sono concentrati su pazienti con recidiva e anche in quel caso non si è dimostrata la correlazione diretta tra stress e ricadute della malattia – aggiunge Didier -, ma indirettamente può esserci invece una correlazione con stati di infiammazione pericolosi».
Se non è certo che possa scatenare una neoplasia, di sicuro lo stress cronico ha invece un ruolo indiretto nella fase di progressione del cancro e della sua diffusione nell’organismo. «In pratica uno stato di stress prolungato nel tempo attiva i ricettori presenti sulle cellule tumorali, ne favorisce la proliferazione, inibisce i meccanismi deputati ad indurre la morte delle cellule tumorali e ne accresce la sopravvivenza – spiega Castelnuovo – . Non solo, favorisce lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni che apportano nutrimento al tumore e dei vasi linfatici che favoriscono la migrazione delle cellule tumorali e di conseguenza le metastasi. Inoltre, gli ormoni dello stress possono indurre la resistenza a chemioterapia e immunoterapia».
È importante quindi contrastare gli effetti dello stress cronico nei pazienti affetti da tumore con un lavoro di psicoterapia. «La cura dell’aspetto psicologico permette di trovare delle risorse e sviluppare uno stato di resilienza che aiuta a superare le difficoltà – ammette la psicoterapeuta dello IEO -, tanto è vero che il ruolo della psicologia nel percorso di cura è diventata sempre più importante». Saper gestire il senso di colpa è un altro fattore determinante. «Il paziente spesso si interroga e si autoinfligge la responsabilità per essersi ammalato – prosegue Didier – quindi il primo lavoro da fare nelle sedute è decolpevolizzare il paziente e permettere il recupero di una visione di sé positiva che permetterà a sua volta un miglioramento della qualità della vita».
Per contrastare gli effetti dello stress cronico gli specialisti ricorrono ai farmaci ma anche alla “mindfulness”, ovvero alla consapevolezza del presente da una angolazione più distaccata: «Aiutare la persona ad individuare le soluzioni disfunzionali che non permettono di scaricare lo stress, ma lo fanno aumentare e trovare invece soluzioni alternative rappresenta la sfida dello psicoterapeuta che lavora in équipe con l’oncologo – dice Castelnuovo -. Diverse le tecniche da adottare, ognuna deve essere modulata sul singolo paziente, ma in genere per arrivare all’obiettivo si lavora sullo stile di vita che permette di produrre endorfine e di scaricare energia malsana, e sull’importanza del proprio io e dello spazio da dedicare a sé stessi. Fin dalla presa in carico, lo psicoterapeuta deve portare il paziente oncologico a prendere in mano la propria vita». Le terapie in medicina hanno fatto passi avanti importanti, ma per la riuscita di una cura, il ruolo dello psicoterapeuta è essenziale. «I pazienti con malattia cronica vanno sostenuti nelle situazioni stressanti imparando a coltivare tutto il sistema delle gratificazioni – si sofferma la psicoterapeuta dello IEO -, scegliendo strumenti che possano portare soddisfazione. Occorre fare un intervento psicologico su misura. Esistono delle tecniche di rilassamento antistress a disposizione, come il training autogeno, la meditazione, lo yoga e il Taichi che vanno a rilassare mente e corpo».
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