De Girolamo (IRCCS Fatebenefratelli): «Questionario online per 10000 cittadini tra i 18 e i 70 anni per conoscere ripercussione che avrà il virus su sfera economica, percezione della malattia attraverso l’informazione e ruolo del vaccino»
Il Covid mina la fiducia? Lo sapremo al termine di un progetto a cui prendono parte 26 Paesi europei e che coinvolgerà un campione rappresentativo della popolazione italiana, selezionato dalla Doxa e costituito da 10.000 persone di età compresa tra 18 e 70 anni, a cui verrà chiesto di compilare online la versione italiana del questionario sviluppato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’indagine, in quattro fasi della durata di tre settimane l’una tra gennaio e aprile 2021, vuole valutare la percezione individuale del rischio che può essere differente in rapporto a variabili individuali e collettive.
Tra le aree indagate lo stato di salute, sia fisico che mentale dei partecipanti, le ripercussioni che avrà il Covid sulla sfera economica di ciascun individuo, la percezione della malattia attraverso l’informazione e il ruolo del vaccino. Il progetto in Italia è coordinato dall’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia, dall’AUSL di Modena e dall’Istituto Superiore di Sanità. A dirigere i lavori il professor Giovanni de Girolamo, medico psichiatra dell’IRCCS Fatebenefratelli, unico tra i 51 IRCCS italiani ad avere come area di riconoscimento scientifico la salute mentale, che dal mese di ottobre si è attivato per mettere a punto il questionario.
«Abbiamo avviato il lavoro di traduzione e validazione del questionario per renderlo omogeneo al resto del mondo; dopo essere stato approvato dall’ufficio OMS di Copenaghen è stato fatto un test pilota su 30 persone e quindi è stata realizzata la versione informatizzata», spiega de Girolamo.
Finanziato per il 60% da Fondazione Cariplo e per il restante dall’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia, il progetto è partito ufficialmente lo scorso 10 gennaio con la prima tranche di indagine su 2500 persone. Dall’iniziativa sono stati esclusi gli over 70 nonostante fossero i più a rischio infezione, in quanto sarebbe stato necessario realizzare delle interviste telefoniche, stante la limitata conoscenza delle metodologie informatiche in molti anziani. Esclusi anche i soggetti in isolamento già positivi al Covid.
«L’obiettivo del progetto è una migliore conoscenza dei processi cognitivi che modulano i comportamenti individuali in una situazione di rischio, al fine di predisporre interventi e programmi di politica sociosanitaria efficaci per contrastare la pandemia – spiega de Girolamo -. In questi mesi si è visto che l’esposizione ad una malattia infettiva di origine virale determina nella popolazione elevati livelli di incertezza circa la probabilità di contrarre la malattia, la sua potenziale gravità e l’efficacia delle misure protettive adottate».
«L’elemento decisivo per contrastare la diffusione della pandemia è il comportamento individuale di ciascuna persona – continua -: per questo in tutto il mondo sono state introdotte misure restrittive, che sono in rapida e costante evoluzione, al fine di ridurre il contagio. Tuttavia, i comportamenti individuali che vengono adottati in queste situazioni sono spesso determinati non dal rischio di contagio in sé, ma dalla percezione di tale rischio, che può essere molto differente a seconda delle situazioni. Tali percezioni si modificano in rapporto ai cambiamenti che intervengono nel corso della pandemia, così come in relazione alle informazioni veicolate dai media. Anche la futura scelta di vaccinarsi sarà in parte influenzata dalla percezione individuale del rischio, dalla fiducia nella comunità scientifica e dalla chiarezza delle informazioni relative al vaccino che saranno trasmesse alla popolazione».
In attesa dei risultati dell’indagine Doxa, lo stesso professor de Girolamo ha posto l’accento sull’impatto che la pandemia ha avuto sugli operatori sanitari. «È stata appena pubblicata in una importante rivista medica statunitense una metanalisi di 97 studi per oltre 290 mila rappresentanti delle categorie sanitarie. I risultati ottenuti hanno evidenziato che l’11% degli operatori sanitari intervistati ha avuto una positività al tampone, il 7% al test anticorpale; gli infermieri con una percentuale del 48% sono risultati i più colpiti dal Covid, mentre tra i medici i più a rischio non sono risultati coloro che lavorano nei reparti Covid, ma gli addetti allo screening (43%). Il 5% degli operatori sanitari ha avuto complicanze gravi, mentre lo 0,5% dei soggetti positivi è deceduto».
«In particolare tra gli infermieri è stata riscontrata un’elevata prevalenza di sintomi di somatizzazione, insonnia ed emicrania. In generale il riscontro di elevati livelli di ansia, spesso correlata al forte timore di poter contrarre la malattia, di sintomi depressivi e di insonnia è comune a molte di queste ricerche. In uno degli studi è emerso come il timore di poter contagiare colleghi di lavoro e familiari rappresentasse il principale motivo di preoccupazione. L’ospedalizzazione di un collega era associata invece a sintomi di stress post-traumatico, mentre il decesso di un operatore sanitario a causa della malattia virale era associato a sintomi di depressione ed insonnia».
«Alcuni studi – prosegue de Girolamo – hanno rilevato come disturbi del sonno (o la mancanza di ore di sonno) rappresentassero un particolare fattore di rischio per il burnout; così come la mancanza di dispositivi di protezione individuale, riscontrata in particolare nel corso della prima ondata. Infine, anche l’essere considerati eroi per medici ed infermieri ha avuto una ripercussione psicologica, in quanto il carico di aspettative eccessive ed irrealistiche sul loro operato ha ostacolato un chiaro riconoscimento dei problemi e delle difficoltà che sono stati costretti ad affrontare», chiosa de Girolamo.
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