Anche la durata dell’infezione è un importante fattore predittivo del Long Covid, responsabile della persistenza dei sintomi anche dopo settimane e mesi dalla fine della malattia. A dimostrarlo è uno studio italiano
Anche la durata dell’infezione è un importante fattore predittivo del Long Covid, responsabile della persistenza dei sintomi anche dopo settimane e mesi dalla fine della malattia. A dimostrarlo è uno studio coordinato da Maria Rescigno, pro-rettrice di Humanitas University e responsabile del laboratorio di Immunologia delle mucose e microbiota di Humanitas , che è stato possibile grazie alla collaborazione di oltre 4.500 dipendenti e operatori sanitari degli ospedali Humanitas, coinvolti tra marzo 2020 e aprile 2022 nell’innovativo progetto di monitoraggio chiamato Covid Care Program. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Clinical Infectious Diseases.
«Studiare il Long Covid è particolarmente complesso, non solo per la necessità di seguire in modo continuativo le persone nelle settimane e nei mesi dopo la fine dell’infezione, ma anche per l’eterogeneità delle sue manifestazioni», spiega Rescigno. «Non a caso il Long Covid viene definito genericamente come il perdurare di almeno un sintomo del Covid-19 – tra cui stanchezza estrema, mal di testa, nebbia cognitiva, perdita dell’olfatto e disturbi al sistema cardiovascolare e respiratorio – per almeno 4 settimane dai primi segnali dell’infezione. In Humanitas questo è stato possibile grazie alla collaborazione dei colleghi e della Direzione Sanitaria», aggiunge.
Sul ruolo dei vaccini, il nuovo studio conferma le evidenze già riscontrate nella prima pubblicazione scientifica nata dal Covid Care Program e apparsa su Jama a luglio 2022: essere vaccinati con 3 dosi protegge non solo dalle forme gravi di malattia, ma anche dal Long Covid. Secondo i dati raccolti, su 100 persone non vaccinate, ben 41 sviluppano Long Covid, mentre tra i vaccinati con tre dosi solo 16 persone ogni 100 vanno incontro al disturbo. Nello studio del 2022 rimaneva però aperta una domanda fondamentale: perché? I nuovi dati pubblicati forniscono una prima risposta: la probabilità di contrarre Long Covid aumenta al crescere della durata della positività al Sars-CoV-2, durata che risulta ridotta in modo sostanziale nelle persone protette dal vaccino.
Il risultato permette di ipotizzare il meccanismo di protezione del vaccino, come emerge anche da un altro recente studio sul Long Covid condotto in Humanitas da Marinos Kallikourdis e Gianluigi Condorelli e pubblicato su Circulation. «Il vaccino protegge dal Long Covid perché riduce la durata dell’infezione – conclude Rescigno -. Se il virus è presente all’interno dell’organismo per meno tempo, c’è meno rischio che la risposta immunitaria e infiammatoria scatenata dalla sua presenza si cronicizzi e dia origine a sintomi che perdurano anche in assenza dell’agente scatenante iniziale».
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