Il Rettore Salvatore Cuzzocrea al 15th World Congress on Inflammation (5-8 giugno, Roma): «Nonostante i numerosi dubbi ancora da chiarire sul Long Covid, ad oggi sappiamo che il trattamento precoce della neuroinfiammazione ricopre un ruolo chiave nella prevenzione dei disturbi post Covid di natura neurologica e psichiatrica»
A distanza di due anni dall’inizio della pandemia, è ormai noto come le diverse varianti del Covid-19 possano dare origine a sintomi persistenti in alcune persone guarite dalla malattia. Si tratta della sindrome Long Covid: un insieme di disturbi di vario genere che perdura nonostante il virus non sia più presente nell’organismo. Veri e propri strascichi la cui gravità può variare molto da soggetto a soggetto. Tra le conseguenze più comuni, troviamo: fatica cronica, tosse, respiro corto, palpitazioni e difficoltà di concentrazione (ovvero la cosiddetta “nebbia mentale”).
Le più recenti ricerche hanno evidenziato come il processo infiammatorio abbia un ruolo chiave non solo nello sviluppo dell’infezione da Covid-19, ma anche nel perdurare dei suoi sintomi nel lungo periodo.
Lo ha spiegato il Prof. Salvatore Cuzzocrea, Magnifico Rettore dell’Università di Messina, nel corso della 15°edizione del World Congress on Inflammation (5-8 giugno, Roma), organizzata dalla Società Italiana di Farmacologia (SIF) e dall’International Association of Inflammation Societies (IAIS). «Durante tutta la prima fase della pandemia, quando non avevamo ancora a disposizione i vaccini, è emersa chiaramente l’importanza di contenere o modulare il processo infiammatorio nei casi gravi di Covid-19, tanto che i farmaci antinfiammatori, come ad esempio i cortisonici, sono stati tra i più utilizzati. In seguito, è stato messo in luce come l’attivazione del processo infiammatorio possa svolgere un ruolo importante anche nel Long Covid».
Nel corso del Congresso, un focus particolare è stato dedicato alla correlazione tra la neuroinfiammazione e le conseguenze di carattere neurologico e psichiatrico associate al Long Covid. Se nella maggior parte dei pazienti questi disturbi sono di moderata entità e tendono a scomparire da soli nel tempo, in alcuni casi invece si manifestano sintomi gravi e severi, come ad esempio alcune forme di dolore neuropatico, disturbi comportamentali o stati di depressione.
«Innanzitutto, vorrei ricordare – spiega il Rettore – che il Long Covid è un fenomeno nuovo, ancora in fase iniziale di studio e, pertanto, non abbiamo risultati consolidati al riguardo. Detto ciò, ci sono già delle evidenze sulla correlazione tra questa sindrome e lo sviluppo di alcune patologie, anche severe, come il dolore neuropatico. Per questo, sono in corso diversi studi che hanno per oggetto le molecole – prodotte dal nostro organismo – in grado di modulare il processo neuroinfiammatorio, allo scopo di poter intervenire precocemente e prevenire così l’insorgenza della malattia vera e propria e il rischio di sua successiva cronicizzazione».
Tanti sono gli aspetti ancora poco conosciuti del Long Covid: da qui l’importanza della ricerca impegnata nel comprendere l’origine e l’evoluzione di questi sintomi e disturbi persistenti nei pazienti. «Nonostante i numerosi dubbi ancora da chiarire, ad oggi sappiamo – conclude il Rettore – che il trattamento precoce della neuroinfiammazione ricopre un ruolo chiave nella prevenzione dei disturbi neurologici e psichiatrici di lungo periodo associati al Long Covid».
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