«Bisogna puntare sul coinvolgimento dei Medici di Medicina Generale e sulle farmacie, che devono diventare punto di informazione e screening» aggiunge Salvatore Petta, segretario dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato
E’ stato fatto molto, ma molto resta ancora da fare per poter riuscire ad eliminare il virus dell’epatite C entro il 2030 e raggiungere quindi l’obiettivo fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità. A lanciare l’allarme è il professor Salvatore Petta, segretario dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato.
L’Italia finora si è distinta per risultati importanti, trattatando più di 200mila soggetti; tuttavia, una recente stima dell’Osservatorio Polaris del Centre for Disease Analysis Foundation (CDAF), Lafayette, CO, USA, ha declassato l’Italia da “on track” al livello “working towards”, ossia un gradino indietro.
«Come emerge anche dai dati AIFA – spiega Petta -, vi è stato un importante decremento dei pazienti avviati al trattamento. Ciò è avvenuto poiché abbiamo esaurito le sacche di pazienti disponibili nei nostri centri, quindi servono delle strategie produttive di ricerca del “sommerso”, cioè rintracciare le persone infette che non sanno di avere le infezioni, sia per curare loro stessi che per impedire nuovi contagi».
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Tra le iniziative volte a favorire il superamento di questo stallo, emerge “CCuriamo”, un progetto ideato da ISHEO, Società di Ricerca, Consulenza e Formazione impegnata nell’analisi di impatto economico e sociale dell’innovazione in Sanità, e realizzato con il contributo incondizionato di Gilead Sciences. «L’obiettivo – si legge in una nota – è stato realizzare una fotografia aggiornata della strategia di eliminazione dell’HCV in Italia, tra successi e passi ancora da compiere, chiamando in causa anche il ruolo imprescindibile delle Regioni. Nel 2019 sono state condotte 5 tavole rotonde che hanno coinvolto circa 30 esperti da tutta Italia, che riunendosi a Roma hanno condiviso dati, best practice con impatto sul livello nazionale come pure su singole Regioni, e con impatti anche sulle popolazioni chiave per l’eliminazione dell’Epatite C, ossia la popolazione carceraria, i consumatori di sostanze stupefacenti e i coinfetti HIV/HCV positivi. La prospettiva sociale della strategia di eliminazione ha condotto inoltre lo studio e l’approfondimento con gli specialisti provenienti da tutta Italia».
«Per far emergere il sommerso sono necessarie nuove strategie – dichiara il professor Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT. – Queste nuove strategie devono rendere più semplice l’accesso agli screening e ai trattamenti negli ospedali, permettere la somministrazione della terapia con modalità semplificate, ma soprattutto andare sul territorio per raggiungere quei pazienti più fragili che hanno difficoltà a rivolgersi alle strutture ospedaliere».
«Servono screening gratuiti per le popolazioni a rischio e un rapido avviamento al trattamento – sottolinea il professor Petta -. Presso carceri e SerD è necessario realizzare test in loco, con modalità semplici come il test salivare. Fino ad ora ci sono stati progetti pilota che non hanno coinvolto tutte le strutture di questo tipo: i soggetti circolano tra le diverse carceri e i vari SerD, rischiando di vanificare l’azione di bonifica effettuata in una parte dei centri».
«Per quanto riguarda la popolazione over 60 – aggiunge Petta – bisogna puntare sul coinvolgimento dei Medici di Medicina Generale e sulle farmacie: i referenti di queste categorie devono essere istruiti a dovere per individuare i possibili soggetti a rischio. Le farmacie sono posti dove i pazienti anziani vanno spesso e si instaura tra loro un rapporto stretto: devono diventare punto di informazione e screening».
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