A fare il punto il Rapporto OsMed presentato dall’Agenzia italiana del farmaco. Il direttore Magrini: «Sforzo di Aifa nella gestione delle carenze. Si è agito per evitare che i malati cronici dovessero andare in ospedale»
L’Agenzia italiana del farmaco ha presentato il Rapporto sull’uso dei farmaci durante l’epidemia Covid-19, realizzato con il contributo dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei Medicinali (OsMed), che raccoglie e monitora le dinamiche farmaceutiche in Italia.
Il documento esamina i consumi farmaceutici a livello ospedaliero e territoriale nei primi mesi del 2020 in risposta alla pandemia da Covid-19. Il Rapporto segnala un aumento dei consumi di vitamina C, vitamina D, idrossiclorochina – acquistata dai cittadini in farmacia a proprie spese – e un incremento degli ansiolitici.
Tra i farmaci impiegati per trattare pazienti affetti da Covid-19, idrossiclorochina e azitromicina fanno registrare i maggiori consumi nel periodo preso in esame. Mentre, tra i medicinali utilizzati in regime ospedaliero, incrementi significativi nei consumi si rilevano per gli iniettivi e l’ossigeno, di prevalente impiego nelle terapie intensive. È evidente il maggior consumo di anestetici generali, sedativi iniettivi e curari a partire dal mese di febbraio 2020. Per tutti questi farmaci sono stati fondamentali i numerosi interventi per calmierare distorsioni distributive ed evitare fenomeni di accaparramento, così da garantirne la disponibilità omogenea e continuativa su tutto il territorio nazionale.
L’Aifa ha avuto un ruolo cruciale durante la pandemia: il 12 marzo è stata attivata l’unità di crisi e sono state centralizzate le approvazioni degli studi clinici per Covid-19. «Aifa ha dato risposta continua e rigorosa alla situazione di emergenza», ha spiegato il direttore generale dell’Aifa Nicola Magrini. «Soprattutto durante l’emergenza – ha sottolineato ancora Magrini – ci siamo resi conto di come solo gli studi randomizzati devono rappresentare uno standard di ricerca solido in grado di guidare la pratica clinica, come dimostra il caso dell’idrossiclorochina. È fondamentale anche ripensare la ricerca scientifica internazionale, perché solo da una visione sovranazionale è possibile trovare posizioni coerenti e sostanziale consenso sui trattamenti più utili».
Dal Rapporto, inoltre, emergono dati positivi su cui riflettere: nei mesi più difficili, da marzo a maggio, si sono mantenuti stabili i consumi dei farmaci per le malattie croniche con l’estensione della validità dei piani terapeutici, la dematerializzazione della ricetta medica e l’informazione istituzionale. «C’è stato da parte di Aifa uno sforzo nella gestione delle carenze che erano motivo di preoccupazione, e si è agito per evitare ai malati cronici di dover andare in ospedale. Questo dimostra la capacità del sistema di reagire in modo rassicurante».
Plaude l’Aifa il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli: «È stato fatto un enorme lavoro per garantire farmaci in fase epidemica, ma occorre far sì che l’Agenzia italiana del farmaco possa confermare questo suo ruolo e fare un ulteriore salto di qualità per affermarsi come punto riferimento nel Paese, soprattutto per la supervisione degli studi clinici» ha sottolineato.
Riferendosi a ciò che ha funzionato o meno durante la fase d’emergenza, Locatelli ha spiegato: «Poteva funzionare meglio la medicina territoriale, uno dei punti in cui andranno concentrati gli sforzi per dare vigore a un sistema nazionale solidaristico e universalistico che questo Paese ha la fortuna di avere. L’Italia non deve perdere la memoria storica dei sacrifici che ha fatto, dei morti che ha avuto, delle persone che hanno lavorato ogni giorno nei momenti più difficili».
A tal proposito, a chi chiedeva se c’è in programma una campagna di comunicazione dell’Istituto superiore di sanità per continuare a tenere alta l’attenzione, il presidente Silvio Brusaferro ha risposto: «Siamo in una fase epidemica controllata ma persistente. L’età media del contagio si è abbassata, oggi ci troviamo intorno ai 40 anni. La sorveglianza è attiva – ha aggiunto Brusaferro – continuiamo con il monitoraggio in un lavoro congiunto tra Regioni, Stato, Comitato tecnico-scientifico e ospedali. Da parte dei cittadini c’è la giusta attenzione a rispettare le semplici regole di comportamento».
Cauto Gianni Rezza, capo del dipartimento Prevenzione del ministero della Salute: «Finora la prevenzione e il controllo dell’epidemia sono stati il miglior farmaco – ha dichiarato – ma siamo in una fase di stallo, non sappiamo cosa accadrà in futuro. E bisogna avere il coraggio di dirlo. Potremmo avere uno stallo per un periodo più o meno lungo, poi focolai che possono mandarci in tilt se non controlliamo bene e ricostruiamo le catene di trasmissione», ha evidenziato Rezza.
«Siamo ora il Paese più sicuro d’Europa, ma poi l’epidemia può riemergere o no. Il virus cerca di reintrodursi. C’è una circolazione a bassa intensità autoctona e una reimportazione di casi da altri Paesi che dobbiamo contenere. Non sappiamo se ci riusciremo». E sulla chiave che ha permesso al nostro Paese di uscire dalla fase critica, Rezza non ha dubbi: «Il coraggio della politica di dare retta ai tecnici, una reazione dura e decisa. Peccato che la comunità scientifica si sia divisa durante la fase 2».
Sulla stessa lunghezza d’onda Magrini: «Le pandemie ci sono – ha concluso – e nei prossimi decenni potranno tornare. Sarà quindi importante trattenere nella nostra memoria quello che è successo e possibilmente valutare in modo indipendente la capacità di reazione. Il dolore e i lutti di questi mesi saranno stati inutili se saremo disposti ad accettare le solite ricette».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato