L’obiettivo del progetto è la rigenerazione dei dischi intervertebrali danneggiati
Curare il mal di schiena cronico con la medicina rigenerativa personalizzata è finalmente possibile: dopo anni di ricerche, l’équipe guidata dal prof. Vincenzo Denaro, con Gianluca Vadalà e Fabrizio Russo, ha eseguito al Policlinico Universitario Campus Bio-Medico i primi trapianti italiani di cellule staminali autologhe, ovvero provenienti dallo stesso paziente.
Gli interventi hanno dato il via alla fase clinica della sperimentazione nell’ambito del progetto ACTIVE finanziato dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) dell’Inail, che prevede complessivamente il reclutamento di 52 pazienti in età lavorativa, dai 18 ai 65 anni, con patologie dei dischi intervertebrali, gli ammortizzatori posti fra le vertebre capaci di supportare tutti i carichi, prevalentemente lavorativi e sportivi.
Il mal di schiena è una patologia che colpisce il 97% della popolazione: secondo il Global Pain Index si stima che in Italia sei persone su 10 ne soffrano ogni settimana, a casa come sul posto di lavoro. Alla base delle più comuni malattie che interessano la colonna vertebrale (lombalgia, sciatalgia, ernie discali scivolamento vertebrale, deformità) c’è un iniziale danneggiamento del disco intervertebrale visibile precocemente attraverso la risonanza magnetica.
Obiettivo del trapianto di cellule staminali autologhe è la rigenerazione dei dischi intervertebrali danneggiati. La tecnica chirurgica utilizzata, in sperimentazione da oltre 15 anni presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, viene ora eseguita con successo sull’uomo per la prima volta in Italia. Le sperimentazioni finora eseguite hanno mostrato l’assenza di effetti collaterali. I benefici sul quadro clinico del paziente si manifestano già un mese dopo l’intervento con una sensibile riduzione del dolore.
«Le nostre sperimentazioni sulle cellule staminali sono partite più di 15 anni fa – spiega il prof. Vincenzo Denaro, primario emerito di Ortopedia presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico –. Abbiamo fatto parte di un programma europeo per la rigenerazione del disco di cui Università Campus Bio-Medico di Roma era l’unico centro italiano coinvolto e nel quale abbiamo maturato l’esperienza su 18 pazienti trapiantati con cellule allogeniche, ossia provenienti da donatore. Sulla base di questa esperienza siamo passati all’utilizzo delle cellule autologhe. Oggi diamo il via all’ultima fase di questo lungo percorso di ricerca realizzato insieme a Inail che vede al centro lo sviluppo della medicina rigenerativa personalizzata applicata a patologie di grande diffusione e impatto sociale».
«Questa terapia avanzata, attualmente non ancora utilizzata in ambito clinico – dice Gianluca Vadalà, medico dell’Unità di Ortopedia e Traumatologia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e ricercatore in malattie dell’apparato locomotore – utilizza cellule mesenchimali autologhe presenti all’interno del midollo osseo, prelevate dalla cresta iliaca dello stesso individuo. Il sangue midollare viene inviato presso la Cell Factory della Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, partner del progetto, dove le cellule vengono isolate e moltiplicate fino a un numero ideale per favorire la rigenerazione».
Con il passare del tempo i dischi intervertebrali, alti circa sei millimetri e composti di un nucleo polposo ricco per oltre l’80% di acqua, tendono a collassare e a perdere il loro contenuto determinando quel dolore vertebrale spesso invalidante. Le cellule staminali trapiantate stimolano la produzione di quelle sostanze che reidratano i dischi ottenendo anche l’effetto di spegnere il processo infiammatorio responsabile del dolore. Viene così ripristinato il livello originario di ammortizzazione del disco intervertebrale restituendo l’originaria elasticità che elimina il dolore cronico.
«È come se queste cellule restituissero vita al disco danneggiato – ricorda Fabrizio Russo – facendo tornare il tessuto da degenerato a sano e ripristinando la capacità biologica ammortizzante. Nel caso dei dischi intervertebrali il risultato è ancora più significativo». Attualmente non esiste una terapia in grado di ripristinare la funzionalità del disco intervertebrale degenerato. Ad oggi i casi cronici sono spesso trattati conservativamente con farmaci antinfiammatori e fisiokinesiterapia ma soprattutto chirurgicamente, mediante rimozione del disco che indebolisce ulteriormente il sistema ammortizzante e con trattamenti di stabilizzazione vertebrale quando le vertebre si deformano o scivolano. Tali stabilizzazioni, proprio per la soppressione di una cerniera di movimento, possono portare il problema a riproporsi».
Il progetto rappresenta una sfida importante anche per Inail, che da sempre si occupa del reinserimento lavorativo e crede nella collaborazione con il mondo ortopedico, come spiega Sergio Iavicoli, direttore del Dimeila Inail: «Questo progetto si caratterizza per l’approccio multidisciplinare: vogliamo creare una filiera tra tutti i soggetti che seguono il paziente-lavoratore e utilizzare le nuove tecnologie e i metodi di cura più avanzati. In questo senso collaborare con centri specializzati come l’Ortopedia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico è essenziale».
In Italia (secondo il Global Burden of Disease 2019) le patologie muscoloscheletriche sono la prima causa di malattia professionale, in crescita del 88% dal 2010 al 2017 (da 19.912 a 37.450 casi). Per quanto riguarda la lombalgia si stima che il 60% di tutti i lavoratori ne soffra nel corso della propria carriera: una patologia che diventa cronica nel 10% dei casi. La lombalgia professionale rappresenta circa il 33% di tutte le spese per assistenza sanitaria e previdenziali/assicurative dei lavoratori, per un costo stimato di 7,9 miliardi di euro solo nell’ultimo anno. Inoltre, con il progressivo allungamento della vita lavorativa, tale problematica risulterà sempre più incidente.
«Siamo un Paese caratterizzato da una popolazione con età media avanzata – prosegue Sergio Iavicoli – Molte persone escono precocemente dal mondo del lavoro o aumentano le loro assenze perché si occupano tardi di patologie come quelle della spina dorsale, portando un danno concreto alle proprie aziende. Questo progetto pilota prende in carico la persona nel suo complesso, non solo come lavoratore, seguendola per un lungo periodo dopo l’intervento per curare il mal di schiena e al tempo stesso aumentare la capacità lavorativa. Vogliamo arrivare a un nuovo protocollo e per questo cerchiamo pazienti con queste problematiche interessati a partecipare. Tutte le prestazioni realizzate al Policlinico Universitario Campus Bio-Medico saranno gratuite».
Gli ortopedici del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico passeranno poi al monitoraggio dei risultati nel tempo. A un anno dall’intervento verrà misurata la scomparsa del dolore cronico, unendo i controlli clinici agli esami di risonanza magnetica. Per candidarsi alla sperimentazione è necessario inviare una e-mail con i propri dati.
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