«Nel mondo, ogni anno, si contano oltre 200 milioni di nuovi contagi e 445 mila decessi. Oggi manca vaccino efficace e occorre combattere resistenza ai farmaci». L’intervista a Carlo Severini, ricercatore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità
«L’eradicazione della malaria in Italia è avvenuta dopo la seconda guerra mondiale, ma soltanto negli anni ’70 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la Nazione “Malaria free”. Da quel momento, le attività di lotta e di controllo hanno lasciato il campo ad azioni di sorveglianza. La malaria oggi, in Italia, è una malattia di importazione». Carlo Severini, ricercatore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, mette in luce i risultati raggiunti, ma anche le criticità e le prospettive di un piano di controllo che, in altre zone del mondo, non è di semplice monitoraggio, ma di prevenzione e cura.
«Attualmente vengono importati, ogni anno, nel nostro Paese circa 600-700 casi. Tra questi – ha continuato Severini – alcuni hanno destato maggiore allarme. Si è sospettato che alcuni potessero essere “autoctoni”, cioè acquisiti localmente, attraverso il coinvolgimento di zanzare del posto e non di vettori esteri». Ma è solo un’ipotesi: «finora – ha aggiunto Severini – non è stato mai dimostrato che si trattasse di insetti italiani. Rimangono situazioni definite “criptiche”, proprio perché non è possibile spiegarne la genesi».
Per trovare episodi di questo tipo non è necessario andare molto indietro nel tempo, gli ultimi si sono verificati lo scorso anno: «nel 2017 ci sono stati diversi casi in Italia – ha specificato il ricercatore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss – Alcuni nosocomiali, cioè contagi avvenuti all’interno dell’ospedale, altri sono i cosiddetti “criptici”. Si tratta di 4 casi in particolare, individuati in Puglia, di cui non è stato possibile definire l’esatta eziologia. Condizioni di questo tipo possono destare il sospetto che possa essere coinvolta la zanzara italiana, ma non è stato dimostrato e difficilmente si risalirà alla genesi esatta».
La situazione globale è ben più grave di quella italiana: «Secondo l’ultimo “Word Malaria Report” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che cita i dati raccolti nel 2016, nel mondo – ha continuato Severini – si sarebbero verificati 216 milioni di nuovi casi e 445 mila decessi. La zona più colpita dalla malaria è l’Africa subsahariana, dove sono concentrate il 90% delle morti. Ogni 10 vittime 7 sono bambini che non hanno ancora compiuto 5 anni. La situazione è abbastanza grave anche nel sud-est asiatico, luogo in cui la forma più grave di malaria si è mostrata resistente ai farmaci. La diffusione di questi ceppi resistenti potrebbe avere delle gravi conseguenze nei programmi di controllo, soprattutto se dovesse raggiungere l’Africa».
LEGGI ANCHE: IN VIAGGIO CON I BAMBINI: QUALI VACCINI FARE PRIMA DI PARTIRE?
È possibile immaginare un’eradicazione della malaria nel mondo, proprio come avvenuto in Italia 50 anni fa? Carlo Severini, di fronte a questa domanda, mostra ottimismo, ma con cautela: «Bill Gates, il maggiore finanziatore dei programmi di lotta alle malattie legate alla povertà ed in particolare alla malaria – ha spiegato il ricercatore dell’Iss – si è più volte espresso positivamente sull’argomento. È innegabilmente che negli ultimi anni di attività di controllo intergrato siano stati raggiunti degli ottimi risultati. Successi che lasciano pensare alla possibilità di un’eradicazione mondiale della malattia, ma non in tempi recenti».
Prima di arrivare al traguardo definitivo è necessario raggiungere delle mete intermedie: «I problemi da affrontare restano tanti – ha sottolineato il ricercatore dell’Iss – innanzitutto manca un vaccino efficace. Poi, bisogna far fronte all’insorgere della resistenza ai farmaci, non essendoci medicinali alternativi a breve commercializzazione».
Difficoltà da superare che comunque non impediranno una totale estinzione della malattia: «ci si arriverà – ha ribadito Severini – ma non a breve. Probabilmente, il primo passo da compiere – ha concluso il ricercatore – è contribuire allo sviluppo economico delle aree dove la malaria è endemica».