Attraverso un prelievo del sangue è possibile determinare la presenza di particolari anticorpi, anticorpi anti-CysR, in grado di predire anzitempo la prognosi della persona affetta da nefropatia membranosa e la sua risposta alle terapie. A scoprirlo è uno studio dell’Istituto Mario Negri e pubblicato sull’American Journal of Kidney Disease
Attraverso un prelievo del sangue è possibile determinare la presenza di particolari anticorpi, anticorpi anti-CysR, in grado di predire anzitempo la prognosi della persona affetta da nefropatia membranosa e la sua risposta alle terapie. Si tratta di una forma rara di malattia renale, detta anche glomerulonefrite membranosa, che compromette la funzione del rene: circa un terzo dei pazienti con nefropatia membranosa progredisce verso la fase terminale, fino a che non si rende necessaria la dialisi o il trapianto. A scoprire questo nuovo potenziale biomarcatore della malattia è uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri e pubblicato sull’American Journal of Kidney Disease.
Le malattie renali colpiscono quasi 850 milioni di persone in tutto il mondo, oltre due milioni di persone in Italia; circa il 10% della popolazione (fino al 40% degli anziani) è affetto da malattia renale cronica, che è oggi una delle prime cause di morte in Italia. Lo studio portato avanti dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri è stato condotto su 113 pazienti e ha dimostrato che elevati livelli di anticorpi anti-CysR nel sangue comportano una malattia più severa. Dallo studio è emerso anche che le donne, affette raramente da questa malattia, tendono ad avere livelli minori di questi anticorpi e, quindi, una patologia più lieve.
Lo sviluppo della nefropatia membranosa è da ricondursi ad una disfunzione delle cellule B che, solitamente, proteggono l’organismo dalle infezioni grazie alla produzione di anticorpi contro i patogeni, responsabili della malattia. Nel contesto delle malattie autoimmuni, le cellule B producono anticorpi che attaccano i tessuti sani. Nella nefropatia membranosa questi autoanticorpi attaccano i glomeruli renali (unità funzionali del rene responsabili del processo di filtrazione) e li riconoscono per errore come estranei. L’infiammazione che ne deriva danneggia i reni alterandone la corretta capacità di filtraggio e porta a una perdita massiva di proteine nelle urine (proteinuria). A lungo andare, la proteinuria può comportare la perdita della funzionalità del rene.
“Il nostro studio ha inoltre dimostrato che la riduzione dei livelli circolanti di anticorpi anti-CysR in seguito al trattamento con farmaci (in questo caso il rituximab) in grado di eliminare le cellule B poteva prevedere quali pazienti andavano incontro a remissione della malattia”, commenta Ariela Benigni, segretario scientifico dell’Istituto Mario Negri e coordinatore delle ricerche per le sedi di Bergamo e Ranica (Bg). I risvolti di questo studio sono molteplici: monitorare l’andamento della malattia e prevenire l’insorgenza di complicanze; aiutare a indirizzare i trattamenti in modo più preciso e personalizzato, aumentando l’efficacia e riducendo gli effetti collaterali; sviluppare nuovi farmaci che bloccano selettivamente le cellule B produttrici degli anticorpi anti-CysR.
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