Salute 2 Settembre 2024 11:57

Malattie cardiovascolari: disuguaglianze di genere e mancata aderenza terapeutica impattano sugli esiti clinici dei pazienti

Al Congresso della Società Europea  – che si conclude oggi a Londra – Daiichi Sankyo ha presentato i dati degli studi SANTORINI ed ETNA- AF che sottolineano come nel nostro continente esistano gap di genere nel trattamento delle malattie cardiovascolari, con le donne che faticano maggiormente a raggiungere alcuni obiettivi di salute rispetto agli uomini.  I dati che emergono di due studi offrono un’analisi approfondita di questo fenomeno,accendendo anche i riflettori sul tema della mancata aderenza terapeutica

Malattie cardiovascolari: disuguaglianze di genere e mancata aderenza terapeutica impattano sugli esiti clinici dei pazienti

Dai dati delle sotto-analisi dello studio osservazionale SANTORINI e del programma di studio ETNA-AF – presentati da Daiichi Sankyo al Congresso 2024 della Società Europea di Cardiologia (ESC) – emergono disuguaglianze e ostacoli nella cura delle malattie cardiovascolari che hanno un impatto sugli esiti clinici dei pazienti, soprattutto nell’ambito della gestione dell’ipercolesterolemia e della fibrillazione atriale.

L’aumento del colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL) è un fattore chiave modificabile del rischio di eventi cardiovascolari maggiori. È stato mostrato che per ogni riduzione di ~39 mg/dL di C-LDL, si registra una flessione del 22% degli eventi cardiovascolari maggiori a un anno. Secondo i dati dello studio osservazionale SANTORINI, però, in Europa le donne con un rischio cardiovascolare alto o molto alto sono state sotto-trattate e hanno raggiunto in misura minore i livelli di C-LDL raccomandati dalle linee guida.

Una sotto-analisi di questo studio – condotta su 5.197 pazienti di sesso maschile, con un’età media di 65 anni, e 2.013 di sesso femminile, con un’età media di 66 anni – ha mostrato inoltre che le pazienti di sesso femminile sono state sotto-trattate rispetto agli individui di sesso maschile e un numero inferiore di esse ha raggiunto i livelli di C-LDL raccomandati dalle linee guida nell’ambito dello studio.

Sebbene la percentuale di pazienti che raggiungevano gli obiettivi di C-LDL sia migliorata dal basale a un anno di follow-up, è stata maggiore nei maschi (rispettivamente 22,9% e 33,3%) che nelle femmine (16,9% e 24,6%). Nonostante le raccomandazioni delle linee guida fossero simili, un numero maggiore di pazienti di sesso femminile non ha ricevuto terapie ipolipemizzanti al basale e a un anno di follow-up (rispettivamente 23,9% e 3,9%) rispetto ai maschi (20,7% e 2,7%).

“Sappiamo che la gravità delle malattie cardiovascolari per le donne è pari a quella degli uomini e che i pazienti di entrambi i sessi rimangono sotto-trattati. Ma questa nuova sotto-analisi dello studio SANTORINI suggerisce ulteriormente che, nella pratica clinica, le donne nel complesso sono sotto-trattate in maniera sproporzionata e non sempre raggiungono gli obiettivi di C-LDL raccomandati” , osserva David Nanchen, Università di Losanna, Centro per le cure primarie e la salute pubblica (Unisanté), “Questi risultati sottolineano la necessità di un’attenzione più diffusa al fine di gestire al meglio il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne”.

L’impatto della mancata aderenza al trattamento sugli esiti dei pazienti

L’efficacia del trattamento della fibrillazione atriale attraverso l’anticoagulazione orale si basa sull’aderenza e sulla persistenza. La mancata aderenza a singoli anticoagulanti orali non antagonisti della vitamina K (NOACs) è stata associata a un aumento del rischio di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale (FA).

Daiichi Sankyo si è impegnata nel registro ETNA-AF (Edoxaban Treatment in routiNe clinical prActice in patients with nonvalvular Atrial Fibrillation) – che combina in un unico database i dati di diversi studi non-interventistici effettuati in Europa, Asia orientale e Giappone – al fine di approfondire l’impatto globale delle malattie cardiovascolari. Più di 28.000 pazienti sono stati inclusi in ETNA-AF, seguiti per quattro anni di follow-up in Europa e per due nei Paesi extraeuropei.

I risultati di una nuova sotto-analisi post hoc del programma ETNA-AF hanno mostrato che dei 9.417 pazienti [13.164 arruolati] (71,5%) – che hanno completato lo studio di 4 anni – l’87,4% ha continuato a seguire il trattamento con edoxaban. L’interruzione e la non persistenza al trattamento erano entrambe associate a fattori quali l’aumento dell’età, il sesso maschile, gli estremi del peso corporeo, la bassa funzionalità renale, l’insufficienza cardiaca, la malattia vascolare, la malattia epatica cronica, l’uso di alcol, la fragilità percepita, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, il fumo, i sintomi correnti di Fibrillazione Atriale e l’ablazione.

“L’elevato numero di pazienti che ha proseguito il trattamento con edoxaban per tutta la durata dello studio di quattro anni, è una buona notizia per i nostri sforzi volti a mitigare la mancata aderenza terapeutica”, commenta Raffaele De Caterina, Direttore della Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa, Ci auguriamo che i fattori associati alla non persistenza osservati nello studio possano aiutare anche lo sviluppo di strategie terapeutiche nella pratica clinica, a beneficio degli esiti dei pazienti”.

Trattamento dei pazienti con fragilità e comorbilità
Ostacoli come le multi-morbilità complesse, che impediscono di raccomandare l’anticoagulazione per la gestione della fibrillazione atriale non valvolare (FANV), sono significativi nei pazienti fragili. Per questo motivo, la prescrizione dei NOACs nella popolazione di pazienti fragili è inferiore al 50%. I medici devono bilanciare il rischio di ictus e il rischio di emorragia quando prendono decisioni in merito alla prescrizione.

La fragilità è una ragione comune per scegliere dosi non raccomandate di anticoagulanti orali e quindi i dati di follow-up a quattro anni dell’ETNA-AF sono stati utilizzati per valutare gli esiti clinici in questi pazienti. I pazienti con fragilità “percepita” o oggettiva trattati con una dose ridotta (non raccomandata) di 30 mg hanno mostrato un tasso più elevato di morte per tutte le cause rispetto a quelli trattati con dose di 60 mg (HR [IC 95%]: 1,44[1,06;1,96]), senza alcun effetto significativo sulle emorragie maggiori. Ciò suggerisce che la presenza di fragilità di per sé non dovrebbe necessariamente indurre a ridurre la dose.

In una sotto-analisi separata dei dati, i pazienti sono stati suddivisi in terzili bassi, medi e alti in base all’indice di massa corporea , all’area di superficie corporea e alla massa magra. I tassi di eventi tromboembolici sono stati bassi (0,7-0,9%/100/soggetti/anno) e simili tra i terzili. Tuttavia, sono stati osservati tassi più elevati di eventi emorragici nei terzili bassi ([2,2-2,4%]) rispetto a quelli medi ([1,5-1,8%]) e alti ([1,4-1,5%]) per ASC e massa magra. Ciò suggerisce che queste variabili dovrebbero essere tenute in considerazione più dell’ indice di massa corporea nell’analisi degli esiti dei pazienti trattati con edoxaban.

“In Daiichi Sankyo continuiamo a tener fede al nostro impegno a lungo termine di fornire prove scientifiche che possano supportare il trattamento ottimale dei pazienti affetti da malattie cardiovascolari e a trovare soluzioni per gli individui che sono stati sotto-trattati”, conclude Stefan Seyfried, Vice Presidente del Medical Affairs, Specialty Medicines, di Daiichi Sankyo Europa,“La nostra promessa ai pazienti è di continuare a far luce sulle disuguaglianze di trattamento e sui bisogni insoddisfatti nell’ambito delle cure cardiovascolari, con l’obiettivo di ridurne il peso per i pazienti e per coloro che se ne prendono cura”.

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