Presentato il XVI Rapporto Nazionale sulle Politiche della Cronicità. Tonino Aceti Coordinatore nazionale del Tribunale dei Diritti del malato: «A 20 mesi dalla promulgazione del Piano Nazionale solo 5 regioni l’hanno adottato»
Si fanno riforme, atti e provvedimenti, ma le persone con patologie croniche e rare ancora non vedono grandi risultati e non si sentono al centro del percorso di cura. È il quadro che emerge dal XVI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità “Cittadini con cronicità: molti atti, pochi fatti”, presentato a Roma dal Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva, con il sostegno non condizionato di MSD.
«I problemi che le associazioni e i pazienti ci segnalano da anni continuano ad essere tutti sul tavolo – dichiara Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale della Associazioni dei Malati Cronici -. Mi riferisco al ritardo nelle diagnosi piuttosto che l’integrazione tra ospedale e territorio, oppure all’approccio multidimensionale e multi-professionale del team che prende in carico le cronicità, dall’assistenza farmaceutica – molto eterogena sul territorio – ai tempi di accesso molto lunghi e diversificati da Regione a Regione. Per non parlare delle spese che i cittadini continuano a sostenere di tasca propria sia per l’assistenza farmaceutica che per le Case di Cura (RSA), per le badanti, per il supporto psicologico e così via, tutti problemi che rimangono lì, irrisolti».
Al Rapporto inoltre hanno partecipato 50 associazioni di pazienti con patologie croniche (52%) e rare (48%), con l’obiettivo di verificare quanto il Piano nazionale delle cronicità, varato di recente, sia ad oggi rispettato nelle sue diverse fasi. «Il Piano Nazionale della Cronicità a 20 mesi dalla sua approvazione – prosegue Aceti – è stato adottato solo da 5 Regioni. Inoltre la Regione Piemonte è in corso di approvazione come la provincia di Bolzano, in tutti i casi comunque si procede con tempistiche troppo lente e modalità eterogenee. Le Regioni devono fare di più e meglio per prendere in carico le cronicità che sono un’emergenza di salute pubblica ma soprattutto una priorità per la sostenibilità economica del Sistema Sanitario Nazionale, io la definisco sempre la vera spending review che il nostro Paese può mettere in campo».
Dal Rapporto risulta che secondo il 35,7% delle associazioni non si fa prevenzione e solo per il 19% questa riguarda bambini e ragazzi. A promuovere programmi di prevenzione sono le stesse associazioni nel 98% dei casi. Oltre il 73% denuncia ritardi nella diagnosi, imputabili alla scarsa conoscenza della patologia da parte di medici e pediatri di famiglia (83,7%), sottovalutazione dei sintomi (67,4%), mancanza di personale specializzato e di centri sul territorio (58%). Del tutto carente l’integrazione tra assistenza primaria e specialistica (lo denuncia il 95,8%), così come la continuità tra ospedale e territorio (65,1%) e l’assistenza domiciliare (45,8%). L’integrazione sociosanitaria e i Percorsi diagnostici-terapeutici sono attuati solo in alcune realtà (rispettivamente per il 52,2% e il 43,9%). Laddove esistono i PDTA, solo la metà delle persone si sente realmente inserita in un percorso di cura. Ma quando il PDTA si traduce in azioni concrete, gli effetti positivi non mancano: prenotazione automatica di visite ed esami (50%), meno costi diretti (28,5%), diminuzione delle complicanze (21,4%).
«Di fatto mi pare evidente da questi numeri che la produzione normativa non cambia la realtà dei pazienti – conclude Aceti -. Su questo dobbiamo concentrarci tutti: cittadini, professionisti, istituzioni nazionali e regionali perché altrimenti s’inclinerà definitivamente il rapporto di fiducia tra paziente, professionista e sistema».