Un nuovo studio del King’s College di Londra dimostra che le terapie psicologiche riducono l’infiammazione causata dalle malattie croniche intestinali fino al 18%. A Sanità Informazione il commento del dottor Rodolfo Sacco: “Fondamentale garantire il supporto psicologico a tutti i pazienti”
“Sei felice?” è questa una delle prime domande che il dottor Rodolfo Sacco, Direttore della struttura complessa di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva dell’azienda ospedaliera universitaria policlinico di Foggia, rivolge ai suoi pazienti, dopo avergli comunicato una diagnosi di malattia infiammatoria cronica intestinale, come Crohn o rettocolite ulcerosa. E da oggi, a tutti coloro che rimarranno sorpresi nel ricevere un quesito del genere da un gastroenterologo, piuttosto che da uno psicologo, il dottor Sacco potrà mostrare l’ultimo studio condotto dai ricercatori del King’s College di Londra, pubblicato sulla rivista BioMedicine. Gli scienziati inglesi, infatti, hanno dimostrato che il buon umore può ridurre fino al 18% i livelli di infiammazione nelle malattie infiammatorie croniche intestinali (Ibd- Inflammatory Bowel Disease).
Gli studiosi, dopo aver analizzato oltre 15mila articoli, si sono concentrati su tutti gli studi controllati randomizzati negli adulti con Ibd che misuravano i livelli di infiammazione e stavano testando un intervento sull’umore, come protocolli per ridurre la depressione, l’ansia, lo stress e il disagio, o per migliorare il benessere emotivo. Gli scienziati londinesi, dopo aver passato al setaccio i dati relativi ad oltre 1.700 persone, hanno appurato che le terapie psicologiche riducono notevolmente l’infiammazione nell’Ibd. Gli interventi che avevano un effetto più positivo sull’umore avevano un maggiore impatto sulla riduzione dell’infiammazione. “È fondamentale offrire un supporto psicologico ai pazienti che ricevono una diagnosi di malattia infiammatoria cronica intestinale, così come è altrettanto importante che tale sostegno resti una costante per tutta la vita, considerando che patologie come la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa accompagneranno chi ne è affetto per l’intera esistenza”, spiega Rodolfo Sacco, Presidente CLEO (Club Epatologi Ospedalieri), in un’intervista a Sanità Informazione.
Lo studio condotto dai ricercatori del King’s College offre un’ulteriore conferma alla già nota interazione cervello-intestino: “Esiste un collegamento dell’asse intestino-cervello, in entrambe le direzioni – continua il dottor Sacco -. Per questo, lo stato infiammatorio intestinale può essere influenzato, sia in negativo che in positivo, dal nostro cervello”. Nel caso specifico delle malattie infiammatorie croniche intestinali questa correlazione può essere evidenziata persino nelle cause che le scatenano. “Sappiano che l’eziologia di queste patologie è complessa e multifattoriale – continua lo specialista -. E lo stress può essere una delle cause scatenanti, nonché una condizione che peggiora la gravità della malattia, tanto da poterne provocare anche una riacutizzazione”.
Il legame tra stress e malattie infiammatorie croniche intestinali è così evidente che, attualmente, nei centri di cura specializzati, nell’equipe multidisciplinare, è sempre presente la figura dello psicologo. “L’auspicio è che le nuove evidenze scientifiche, come quelle offerte dallo studio londinese, possano indurre ad un incremento del numero di psicologi a disposizione dei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali anche in centri di cura più piccoli e in ogni reparto ospedaliero. Cosicché il supporto psicologico diventi la regola e non l’eccezione di pochi centri specializzati”.
“Il nostro studio suggerisce che miglioramenti nell’umore possono influenzare le malattie fisiche attraverso la modulazione del sistema immunitario. Sappiamo che i sentimenti legati allo stress possono aumentare l’infiammazione e i risultati suggeriscono che migliorando l’umore possiamo ridurre questo tipo d’infiammazione. Ciò si aggiunge all’ampio corpo di ricerca che dimostra il ruolo dell’infiammazione nella salute mentale e – conclude l’autrice Valeria Mondelli – suggerisce che gli interventi finalizzati al miglioramento dell’umore potrebbero avere anche effetti fisici diretti sui livelli di infiammazione”.
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