Una policrisi sanitaria, sociale, economica e politica, sta cambiando il nostro modo di vivere, acuendo il disagio psichico: le diagnosi di disturbi mentali sono in continua crescita, con aumenti del 30% soprattutto nelle categorie più fragili e nei più giovani. L’allarme è stato lanciato dalla Società Italiana di Psichiatria in vista della Giornata Mondiale della Salute Mentale che si celebra il 10 ottobre
Una pandemia dopo la pandemia. E’ quella delle malattie mentali: con un incremento delle diagnosi del 30%, come indicato dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS), ma che ogni specialista ha potuto verificare nella quotidianità del proprio lavoro, la prevalenza dei disturbi della mente sta per superare quella delle patologie cardiovascolari. A puntare i riflettori su quest anuova emergenza è la Società italiana di psichiatria (Sip) che quest’anno, in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale che si celebra domani, festeggia anche i suoi 150 anni. Le celebrazioni si sono tenute questa mattina a Roma in occasione di un convegno al Senato.
Secondo gli specialisti della Sip, depressione e altre malattie mentali saranno le più diffuse nel mondo già prima del 2030, anno in cui, sempre l’OMS, aveva stimato il «sorpasso». Numeri che valgono in Italia il 4% del prodotto interno lordo tra spese dirette e indirette. Senza contare la diminuzione dell’aspettativa di vita di 10 anni. Insomma, è in atto una «policrisi» in cui pandemia e guerra, inflazione e turbolenze sociali stanno facendo da detonatore al disagio mentale. A pagare il prezzo più alto le categorie fragili: bambini e adolescenti, donne, anziani, fasce sociali svantaggiate. Nonostante ciò, le risorse a diposizione dei Servizi di Salute Mentale pubblici sono in continuo calo, e sono ormai sotto il 3% del fondo sanitario nazionale, mentre l’indicazione europea è del 10% per i paesi a più alto reddito.
I Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) sono diminuiti di numero (dai 183 del 2015 ai 141 del 2020), e stanno vivendo una profonda crisi di personale, soprattutto medico: si stima che entro il 2025 mancheranno all’appello altri mille psichiatri. Si assiste, infine, ad un incremento generalizzato di aggressività e violenza nei confronti di tutti gli operatori, ma soprattutto nell’ambito della psichiatria, come dimostra il tragico esempio dell’omicidio di Barbara Capovani. La Sip dunque richiama l’attenzione delle istituzioni su un disagio che non può più essere sottovalutato e ricorda quanto sia importante sostenere il servizio pubblico, l’unico in grado di prevenire, riconoscere e trattare in maniera adeguata i disturbi mentali, di qualunque forma e gravità, con uno sguardo al futuro, perché (per ora) nessun vaccino potrà salvarci da questa pandemia.
«La salute mentale, come ricorda l’OMS, deve essere un diritto per ogni cittadino e non deve più essere trascurata», spiega Emi Bondi, presidente della SIP e direttore del DSM dell’Ospedale Papa Giovanni XXII di Bergamo. «Il Servizio Sanitario Nazionale è chiamato ad essere in prima linea per mettere in atto strategie di prevenzione e monitoraggio e per intercettare e curare il disagio mentale nelle popolazioni più fragili e a rischio», aggiunge. «A questo scopo – continua Giuseppe Niccolò, coordinatore vicario del Tavolo Tecnico sulla salute mentale e direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Roma 5 – il Tavolo istituito di recente al ministero della Salute ha tra gli obiettivi il compito di realizzare un nuovo piano per la salute mentale che migliori la qualità dei percorsi di prevenzione, trattamento e riabilitazione per meglio rispondere ai bisogno di salute mentale della nostra società».
Al lavoro del tavolo tecnico va naturalmente affiancato il lavoro della ricerca, il futuro della psichiatria. «Grazie alla ricerca sono stati fatti enormi passi avanti nella diagnosi precoce e nella prevenzione in psichiatria», osserva Liliana Dell’Osso, co-presidente SIP e professore ordinario di psichiatria all’Università di Pisa. «A causa, però, del malinteso timore di risultare discriminatori, si fatica ancora a parlare dei disturbi mentali come di vere e proprie patologie, causa di intensa sofferenza soggettiva e grave compromissione del funzionamento biologico e psicosociale: non riconoscerlo significa rinunciare non solo alla terapia psicofarmacologica ma anche al riconoscimento di manifestazioni iniziali al fine di adottare strategie preventive, orientando il soggetto verso stili di vita protettivi e valorizzando i suoi punti di forza».
«I giovani stanno pagando un prezzo alto per questo», dice Bondi. «L’isolamento e la rottura con il mondo reale e la società nelle sue più diverse componenti hanno contribuito all’aumento delle dipendenze da sostanze ma, soprattutto, da tecnologia e oggi si stimano almeno 700 mila adolescenti dipendenti da web, social e videogiochi. Altri ancora sono vittime di ansia e depressione, anche queste in costante aumento», aggiunge. «Dopo la pandemia – prosegue Claudio Mencacci, presidente onorario SIP, direttore emerito del dipartimento di Neuroscienze, ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano – i sintomi depressivi nella popolazione generale sono quintuplicati e oggi si stima che li manifesti circa una persona su tre, tanto che si ipotizzano fino a 150 mila casi di depressione maggiore in più rispetto all’atteso, con conseguenze dirette su malattie oncologiche, cardiovascolari e polmonari. A soffrire del maggior disagio mentale, oltre ai giovani, sono le categorie fragili come le donne, gli anziani o i ceti sociali più svantaggiati. Fra i disoccupati, per esempio, il rischio di depressione è triplo».
«L’Italia ha un plus incredibile», spiega Bernardo Carpiniello, presidente del Consiglio delle Società Europee di Psichiatria. «È l’unico Paese al mondo che ha abolito i manicomi e gli ospedali psichiatrici giudiziari. Ha un sistema assistenziale senza pari in Europa: 2,8 servizi territoriali per 100mila abitanti (media europea di 0,8), uno dei più bassi tassi di posti letto ospedalieri (circa 10 ogni 100mila abitanti), sette volte inferiore alla media dei paesi OCSE, la minor durata dei ricoveri (ca 10 gg) e, soprattutto, il più basso tasso di ricoveri obbligatori (meno del 14% sul totale)», aggiunge. «Eppure – prosegue Emi Bondi – siamo di fronte a un depauperamento continuo dei servizi pubblici e degli investimenti in salute mentale. L’obiettivo del 10% della spesa del Fondo Sanitario dedicata alla salute mentale, indicato dall’Europa, è lontanissimo, ma lo è anche lo standard minimo del 5% di spesa: dal 3.8% del 2018, al 2.75% del 2020. Una carenza che rischia di compromettere gravemente tutto il sistema».
«Anche per questo – aggiunge Matteo Balestrieri, co-presidente SINPF e ordinario di Psichiatria all’Università di Udine – occorre migliorare la consapevolezza della cittadinanza in merito alle malattie mentali, perché il sistema nervoso centrale sia finalmente percepito come una parte del nostro organismo alla pari di altri organi fondamentali quali – tra gli altri – il fegato o il cuore. È inaccettabile che un paziente ad esempio con disturbo bipolare, pur vedendo riconosciuta la sua patologia, debba essere discriminato come individuo rispetto a un paziente con diabete o scompenso cardiaco». Aggiunge Giudo Di Sciascio, segretario nazionale della SIP e direttore facente funzione del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL di Bari: «Di fronte a tutto questo la SIP trasmette il suo forte messaggio di competenza ma, soprattutto, di rappresentanza di tutti gli psichiatri italiani e punta a diffondere quanto necessario per la popolazione italiana difendendo i processi di cura accessibili a tutti, come ha sempre fatto in questi anni, e proponendosi come interlocutore privilegiato delle istituzioni».
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