La storia del piccolo Charlie ha commosso il mondo e acceso i riflettori sulle malattie mitocondriali. Sanità Informazione ne ha parlato con Carlo Dionisi Vici, responsabile dell’unità operativa di malattie metaboliche presso l’Ospedale Bambino Gesù
La storia del piccolo Charlie Gard – il bimbo inglese di 10 mesi affetto da una rarissima malattia genetica – ha in questi giorni sollecitato le coscienze e mobilitato l’opinione pubblica di tutto il mondo accendendo i riflettori sulle malattie mitocondriali.
Si tratta di patologie gravissime ed il più delle volte incurabili: Carlo Dionisi Vici – pediatra responsabile dell’unità operativa di malattie metaboliche presso l’Ospedale Bambino Gesù e del laboratorio di diagnostica e ricerca nel campo delle malattie metaboliche – spiega ai microfoni di Sanità Informazione di cosa si tratta, la loro complessità dal punto di vista medico anche in relazione alla diagnosi ed i risultati ottenuti ad oggi attraverso la ricerca, ambito a cui sono strettamente correlati e da cui dipendono approfondimenti e possibili nuove cure.
Dottore, innanzitutto facciamo chiarezza: che cosa si intende per malattie mitocondriali?
«Le malattie mitocondriali appartengono alla grande categoria delle malattie rare e in particolare delle malattie del metabolismo. Sono fra le più complesse sia dal punto di vista medico che della ricerca e sono dovute ad alterazioni in quello che si chiama “metabolismo energetico cellulare”. Tutte le cellule del nostro corpo hanno bisogno, per funzionare, di energia: i mitocondri sono considerati le centrali elettriche delle nostre cellule e questa è la loro funzione principale. Hanno anche altre funzioni: in particolare il mitocondrio è quello che si chiama un organello subcellulare, ovvero è una piccola pallina che nuota all’interno delle nostre cellule e che ha prevalentemente il compito di produrre energia. Quando non funzionano i mitocondri, purtroppo queste cellule vanno in crisi».
In media, oggi quanto tempo è necessario per giungere ad una diagnosi completa?
«Le malattie mitocondriali possono colpire il bambino ma possono anche colpire l’adulto, esordire in età adulta. Quindi abbiamo quello che si chiama uno spettro clinico estremamente variegato. Per quella che è la mia esperienza da pediatra che si occupa da tanto tempo anche di malattie mitocondriali, posso comunque dire che oggi la diagnosi impiega a volte poche settimane, a volte anni. In alcuni casi, poi, una diagnosi può non essere disponibile. Il mondo delle malattie mitocondriali è estremamente correlato alla ricerca, quindi ancora non si conoscono le cause genetiche di molte malattie e la ricerca deve dare delle risposte in questo senso.
Quindi la diagnosi è oggi uno degli argomenti principali.
«Certamente, rispetto ad anni fa la diagnosi è più veloce perché le tecnologie con le quali ci avviciniamo al bambino sono molto migliorate, ed anche perché è certamente aumentata la conoscenza sia in ambito clinico che nel campo degli stakeholders, che permettono una maggiore diffusione delle conoscenze per le famiglie, grazie anche ad iniziative come quella di Mitocon».
Quali sono le terapie attualmente a disposizione dei malati?
«Questo è un tasto dolente. La parte terapeutica è certamente quella che ancora oggi necessita di maggiore impulso mentre abbiamo migliorato negli anni quella che è la tecnologia per fare la diagnosi: c’è stato un impulso enorme dalla biochimica alla genetica, mentre nel versante terapeutico siamo ancora purtroppo indietro. Certamente abbiamo alcuni farmaci che possono specificamente agire e in alcuni casi essere molto funzionanti, ma direi che sono l’eccezione. Mediamente, ci rivolgiamo a categorie di farmaci che aiutano ma che purtroppo non permettono di guarire la malattia. Raramente ci sono state delle esperienze direi aneddotiche in cui per esempio il trapianto d’organo, come il fegato, ha potuto migliorare l’evoluzione clinica di una malattia, e in futuro certamente il versante su cui confidiamo maggiormente è quello della terapia genica. Ma dalla terapia genica studiata magari su un modello animale ad arrivare alla possibilità di applicarla su un bambino purtroppo passano ancora molti anni».
Nell’ambito della ricerca medica su queste malattie quali sono i risultati più significativi raggiunti?
«L’Italia è stata una dei bacini di conoscenza più attivi a livello internazionale. Abbiamo figure, come Massimo Zeviani, con cui collaboriamo da tempo che oggi occupa addirittura la posizione di un premio Nobel in Inghilterra. Grazie alle sue ricerche siamo riusciti a scoprire nuove malattie, i meccanismi biologici che stanno dietro a queste malattie e questi scienziati hanno certamente contribuito ad una maggiore comprensione, ma c’è ancora tantissimo da fare nel campo delle malattie mitocondriali».
Qual è la situazione dei finanziamenti alla ricerca nel nostro Paese?
«I laboratori sono sempre alla ricerca di finanziamenti. Questi possono arrivare dalle istituzioni, per esempio a livello nazionale dal Ministero della Salute, il Ministero della Ricerca, oppure Grant internazionali, dalla Comunità Europea, o da grandi istituzioni private come Telethon o piccole associazioni. Siamo sempre alla ricerca di un aiuto, ma in futuro, soprattutto nel campo farmaceutico, non va dimenticata la possibilità di fare joint venture, ovvero accordi fra aziende per realizzare un determinato progetto, con compagnie farmaceutiche che insieme a ricercatori istituzionali e istituti come il Bambino Gesù, possono certamente contribuire alla scoperta di nuove cure per malattie che oggi, purtroppo, non ne hanno ancora una».