«Attuare strategie di de-risking per i farmaci orfani, incentivare la collaborazione tra tutti i portatori di interesse e continuare con la ricerca per le malattie rare»
I farmaci orfani sono utilizzati per la diagnosi, la prevenzione e il trattamento delle malattie rare. Una malattia è considerata rara, in Europa, quando colpisce non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti. Ma per raggiungere i pazienti rari con una maggiore consapevolezza sul potenziale beneficio clinico dei farmaci orfani è necessario mettere in atto alcune strategie, di cui ci parla la professoressa Annamaria De Luca, Ordinario di Farmacologia all’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.
«Questo è un punto estremamente importante – spiega la professoressa a Sanità Informazione – perché di fatto i farmaci orfani vengono spesso approvati con un livello molto basso di evidenze ed efficacia clinica». Le motivazioni dipendono dal ridotto numero di pazienti rari e dalle intrinseche difficoltà nell’effettuare studi clinici su queste tipologie di pazienti. «Quindi è importante – prosegue la professoressa – una strategia per ridurre il rischio di fallimento della ricerca transazionale. Un’ipotesi «può essere quella di rafforzare gli studi preclinici con particolare attenzione agli studi sui modelli animali».
Secondo la professoressa De Luca, i modelli animali «sono un alleato molto prezioso per riuscire a capire meglio le patologie rare e per sviluppare i farmaci orfani. È necessario, però, che vengano usati secondo degli standard internazionali di alto livello in maniera tale che i risultati siano molto robusti e soprattutto riproducibili tra i diversi laboratori». Occorre, poi, mettere in atto anche «altre strategie di de-risking che possono riguardare, ad esempio, la messa a punto di tavoli tecnici internazionali in grado di valutare quanto un programma di sviluppo ricerca per un farmaco orfano sia in realtà solido e si possa arrivare al paziente in maniera sicura e prevedendo una maggiore efficacia di terapie innovative nei nuovi farmaci orfani».
C’è ancora molto da fare «perché le malattie rare sono migliaia e abbiamo, purtroppo, farmaci orfani sviluppati per una percentuale molto bassa di malattie rare. La ricerca va avanti – ammette soddisfatta – ci sono moltissimi avanzamenti, abbiamo assistito negli ultimi anni a dei progressi inimmaginabili fino a qualche anno fa. Bisogna continuare su questa strada, è promettente. Incentivare la collaborazione tra tutti i portatori di interesse, il dialogo virtuoso con le associazioni di pazienti, i regolatori, le industrie farmaceutiche e tutti coloro che possono di fatto dare un stimolo a continuare con la ricerca sia in ambito innovativo ma anche con la identificazione di farmaci già noti che possono essere reindirizzati per le malattie rare» conclude.
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