«Alla facoltà di medicina c’è necessità di corsi universitari che siano focalizzati sulle malattie rare», è il monito che Fernanda Torquati, presidente dell’Associazione Italiana Gaucher, fa in riferimento alla formazione dei professionisti sanitari.
Si tratta di una sfida per il medico di domani «per abbattere i tempi di diagnosi che oggi in linea di massima contano dai 5 ai 7 anni ritardando di conseguenza le terapie. Tutto tempo prezioso che va perduto» sottolinea la presidente della Onlus punto di riferimento per pazienti e famiglie che hanno a che fare con la malattia rara e metabolica di Gaucher che in Italia conta circa 250 malati. «È pur vero – continua la Torquati – che la maggior parte di medici di famiglia, nel corso di tutta la loro carriera, non si imbattono in un malato raro, ma può capitare ed è bene sapersi muovere di conseguenza».
«La nostra associazione è attivissima in questo senso, abbiamo cominciato più di 26 anni fa a sensibilizzare inizialmente i pediatri, poi in seguito gli ematologi, purtroppo ancora non basta». Quello che rivendica la presidente, anche madre di un paziente Gaucher, è la necessità di una corretta e efficace informazione. «Si parte dalla conoscenza – ribadisce -, occorre che i mezzi di comunicazione come riviste, programmi televisivi, radiofonici, trattino questi temi il più possibile da tutti i punti di vista, perché sapere può aiutare».
È chiaro che in questo processo di conoscenza il medico è il primo anello della catena: «Il pediatra come il medico di famiglia – ripete la Torquati – svolge un ruolo fondamentale innesca un processo importante per poter fronteggiare alcune situazioni e segnalarle allo specialista».
Per rendere il processo di diagnosi più veloce è importante anche «centralizzare l’assistenza di queste patologie», spiega la presidente che inoltre sottolinea la difficoltà di gestire queste malattie a livello regionale visto che «in alcune Regioni ci sono due casi, in altre magari dieci e in altre nessuno».
Infine, la vera svolta per pazienti e famiglia sarebbe rendere disponibile in tutto il territorio «la terapia domiciliare, se il paziente la desidera. Non è giusto che ci siano cittadini di seria A o serie B – conclude -, siamo tutti un unico Paese e ognuno di noi ha gli stessi diritti».